“Diamanti”: un film che brilla tra la fine del 2024 e il nuovo anno

C’è un film che, nel vederlo al cinema nei primi giorni di inizio anno,  sembra confondere nel senso di stupore e di sentimentalismo che si provano,  tanto che non si sa poi se ispirati dalla pellicola oppure dalla atmosfera che ogni capodanno porta con sé.

Ozpetek si arma di un cast di attrici strepitose, dalla fascinosa Ranieri alla Scalera con le sue mimiche facciali, e sfodera inquadrature quasi tutte a mezzo busto per dare fuoco alle espressioni del viso, e ci riesce: il film parla con le parole ma sopratutto con gli occhi (parte corporea eletta a maggiore carico di femminilità) delle sue protagoniste.

Un film che brilla e che si incentra su figure -tutte femminili- che brillano, non può che avere il titolo di Diamanti.

Perché, oltre alle citate, tante altre, e brave, sono le attrici, la raffinata Milena Vukotic, e Lunetta Savino per esempio -guarda caso il meridionalismo nella espressività trionfa- che mostrano le proprie vite ruotando attorno ad un atelier, luogo già di per se’ richiamante il vezzo, la vanità, l’estetica del corpo, che piacevolmente devono caratterizzare tutte le donne. 

E non può mancare l’esperienza di una di loro, brutale, scellerata, raccapricciante vita di vittima del marito violento. Si prelude al femminicidio ma il finale salva, mostrando una figura, non a caso interpretata da Elena Sofia Ricci, vestita di un (uno dei tanti anche loro protagonisti) abito che sembra davvero luccicare come un diamante, identificata nella madre del regista, portando con sé il ricordo e la memoria, che, alla fine, sono tutto ciò che conta. 

Tre ciotole: il testamento di Michela Murgia

Un libro postumo sembra sempre avere un valore aggiunto.
Indiscutibile rimane la spiccata verve letteraria della scrittrice, l’ironia pungente anche a volte amara, il registro scorrevole e piacevole, ma c’è forse una nota dolente, ed e’ nei riferimenti religiosi, per esempio con la citazione di un’intera preghiera, che sanno di una sfida al timore di Dio.
D’altro canto, alcuni contenuti sono molto importanti e descritti con coraggio, lo stesso con il quale viene affrontata la malattia oncologica terminale, che pure viene raccontata, con una naturalezza quasi irreale, e con una dignitosa pietà di se’, che ogni medico dovrebbe leggere almeno una volta. Per capire chi si guarda ogni giorno negli occhi e cosa nascondono gli occhi dei pazienti.
E poi ci sono tanti altri riferimenti a realtà moderne: la pandemia da Covid, la vigliaccheria dell’uomo che si stanca della propria donna dopo anni di vita di coppia destinandosi ad incontrare molte controfigure di lei, l’omosessualità, e tante altre situazioni anche parafiliche ma molto più comuni di quanto si possa immaginare.
Infine, nei ringraziamenti, c’è forse la parola/ chiave, il testamento della scrittrice, la quale si assicura che il libro venga pubblicato, e cioè che le si dia il Cambio. Una parola con la lettera iniziale maiuscola, intenzionalmente, ad indicare il valore della scrittura, ad indicare il valore della vita, della continuità, e che forse contiene anche un (inconsapevole?) riferimento al cambio/vita, dal corpo all’anima.

Consigli di lettura in vista del Natale 2023

Scrutando tra gli scaffali della libreria Feltrinelli di Salerno, anche attratti dai colori dell’immagine in copertina, in prossimità del Natale che in genere è festa di ricordi, di cose retrò, di bisogno di affetto, di abbracci caldi, e di frasi sincere, non si può non far caso ad un libricino edito da Garzanti, sul quale capeggia il cognome dell’unica donna italiana (sarda) ad aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura, Grazia Maria Cosima Damiana Deledda (1871-1936). “Il dono di Natale” è una raccolta di racconti brevi, ambientati ovviamente in Sardegna. Nella nevosità invernale della terra dei 4 mori, nella selvaggia fascinosa isola dedita alla pastorizia e agli ideali essenziali e al credo in Dio, si ambientano vicende scritte con lo stile semplice, chiaro, ma
profondo, della autrice. La lettura si fa veloce, quasi precipitosa, scivolando quasi dalle righe ma arricchendosi- in maniera inversamente proporzionale alla semplicità della scrittura- di sensazioni, sofferenze, tenerezze, rugosità, durezze, abissi, delicatezze. Traspare quell’indole che la stessa autrice descrisse dei suoi libri: “tanto drammatica quanto sentimentale”. E i contenuti sono vicende di vita comune, di una Sardegna antica con usi e costumi ancestrali, ma scenario di relazioni e scambi tra personaggi che appaiono moderni, ancora vivi, perché gli uomini sono ancora gli stessi, dopo tanti anni. Deledda rappresenta le sue figure descrivendole in modo tale che più che corporee si ha l’idea della personalità (nello stile dei grandi scrittori russi), e si avvicendano tutte le personalità, variegate e multiformi, opere di una scrittrice che è regista di fatti umani reali attuali. Scrittrice dell’umanità, caposaldo della letteratura italiana. Il riferimento, ogni tanto, a parole in lingua sarda appare un piacevole intermezzo che rimanda con la mente alla voglia di viaggiare e di andarci o tornarci nell’isola. Il racconto più bello? Quello da cui trae il titolo questo piccolo grande libro: perché il dono di Natale non può che essere la Vita.

“Cambiare l’acqua ai fiori” di Valerie Perrin (2019)


Un libro importante, che ha rapito i più, come dimostra il numero di copie vendute. Malinconia francese, c’è, nel libro, come francese è l’autrice, Valerie Perrin, fotografa, artista. Traduttore italiano, Alberto Bracci Testasecca. Francesi l’ambientazione e i nomi dei personaggi, malinconico il tema ricorrente della morte intrecciata col ricordo ma simpatiche le digressioni umoristiche e soprattutto la descrizione e la colorazione degli ambienti e personaggi che sanno più di rappresentazioni sudamericane. Moderni riferimenti a marche di saponi, “Dove”, a canzoni moderne, di Elvis, e a situazioni contemporanee.
Bello davvero il libro, se non altro per l’avvicendarsi precipitoso e vorticoso di fatti e dinamiche ma anche perché ogni paragrafo inizia con un titolo che è una frase fatta di poesia, e, messe tutte insieme, le frasi che sono i titoli dei paragrafi, fanno esse stesse un romanzo o forse una poesia. Quindi poesia nei titoli e prosa nei paragrafi. E la tematica regina, attualissima, che forse non tutti colgono e che rende difficile la lettura (soltanto, perché è in genere alquanto scorrevole) a coloro che vivono la stessa realtà, ebbene il tema vero del libro è la vittimologia della donna preda dell’uomo autore di violenza domestica. Un uomo che rientra a pieno titolo nelle statistiche attuali, nato e cresciuto da una madre dominante, narcisista, prevaricatrice, anaffettiva. Lui stesso vittima di lei e di se stesso, e pur cercando di redimersi, cercando spiragli di giustizia, non la raggiungerà perché probabilmente il giusto non l’ha mai conosciuto.
La vera vittima è lui perché l’autrice sapientemente riveste di dignità la donna malcapitata che è caduta in amore per questo uomo/ bambino, e le dà la possibilità di vivere ancora e comunque. E di rinascere, non e non soltanto, prendendosi cura di se stessa ma sopratutto di altri e di altre cose. Dei fiori, per esempio, portando e cambiando l’acqua ai fiori.