Un libro importante, che ha rapito i più, come dimostra il numero di copie vendute. Malinconia francese, c’è, nel libro, come francese è l’autrice, Valerie Perrin, fotografa, artista. Traduttore italiano, Alberto Bracci Testasecca. Francesi l’ambientazione e i nomi dei personaggi, malinconico il tema ricorrente della morte intrecciata col ricordo ma simpatiche le digressioni umoristiche e soprattutto la descrizione e la colorazione degli ambienti e personaggi che sanno più di rappresentazioni sudamericane. Moderni riferimenti a marche di saponi, “Dove”, a canzoni moderne, di Elvis, e a situazioni contemporanee. Bello davvero il libro, se non altro per l’avvicendarsi precipitoso e vorticoso di fatti e dinamiche ma anche perché ogni paragrafo inizia con un titolo che è una frase fatta di poesia, e, messe tutte insieme, le frasi che sono i titoli dei paragrafi, fanno esse stesse un romanzo o forse una poesia. Quindi poesia nei titoli e prosa nei paragrafi. E la tematica regina, attualissima, che forse non tutti colgono e che rende difficile la lettura (soltanto, perché è in genere alquanto scorrevole) a coloro che vivono la stessa realtà, ebbene il tema vero del libro è la vittimologia della donna preda dell’uomo autore di violenza domestica. Un uomo che rientra a pieno titolo nelle statistiche attuali, nato e cresciuto da una madre dominante, narcisista, prevaricatrice, anaffettiva. Lui stesso vittima di lei e di se stesso, e pur cercando di redimersi, cercando spiragli di giustizia, non la raggiungerà perché probabilmente il giusto non l’ha mai conosciuto. La vera vittima è lui perché l’autrice sapientemente riveste di dignità la donna malcapitata che è caduta in amore per questo uomo/ bambino, e le dà la possibilità di vivere ancora e comunque. E di rinascere, non e non soltanto, prendendosi cura di se stessa ma sopratutto di altri e di altre cose. Dei fiori, per esempio, portando e cambiando l’acqua ai fiori.
L’altra sera, si è svolto un evento culturale, a Montoro (Av), nella frazione San Pietro, all‘insegna della presentazione del libro “Il brigante e il generale“ (Laterza ed.), fresco di premio Acqui Storia 2023 per la sezione scientifica, scritto dal prof. Carmine Pinto, Direttore del Dipartimento degli Studi Umanistici dell’Università di Fisciano. É un libro di storia e, già per questo suo valore intrinseco, insegna, come da locuzione degli antichi “historia magistra vitae“, ma il volume ha anche un suo plusvalore, quello di attenersi, nella narrazione, esclusivamente a fatti accertati attraverso la ricerca, l’analisi e lo studio di fonti documentali – in più occasioni l’autore l’ha definito “un viaggio tra i luoghi e tra le carte“ – pervenendo anche alla risoluzione di diatribe storiografiche. Insomma, un prodotto artistico derivato da impegno, metodo scientifico, e sicuramente passione. Ed è un libro che si fa leggere per una nuova scrittura narrativa che lo differenzia dalla precedente opera dello stesso autore, che è un saggio, sempre edito da Laterza e pluripremiato, dal titolo “La guerra per il mezzogiorno” (2019), ma in linea di continuità con quest’ultimo, se non altro per le similari immagini di copertina tratte dalle pitture dell’8ooesco Giovanni Fattori di cui sono conosciute le “scene brigantesche” richiamanti la tematica principe di entrambi i volumi, e, mentre il saggio si sviluppa come una panoramica estesa, il secondo appare come uno zoom su persone e luoghi. Nello specifico, l’ambientazione è nell’Italia post unitaria, periodo di transizione e di crisi dal quale scaturirà la Nazione; attraverso la descrizione tridimensionale di due personaggi antitetici, e dei posti in cui sono vissuti, il meridione di Italia, l’autore fa luce su un fenomeno, una questione sociale, il brigantaggio, da taluni tramandato come una sorta di eroismo, ma che la scrittura di Pinto restituisce nella sua reale dimensione di vero fenomeno criminale; si ricordi che l’autore è anche, tra le altre cose, studioso di storia militare e di guerre civili. E la scorsa serata, a Montoro, hanno partecipato all’evento il senatore Andrea De Simone, il quale con piacere ha ricordato l’amicizia decennale che lo lega all’autore e ha citato un suo testo centrato sui costumi culinari dell‘800 la cui prefazione è del prof. Pinto; c’è stata, poi, la manifestazione di condivisione del sindaco di Montoro, Girolamo Giaquinto, puntualizzando il valore della verità non contaminata da menzogna e quindi tramandata nella sua assolutezza; poi, si sono sviluppate le riflessioni di lettura del medico legale, Elena Picciocchi, discendente della famiglia Pironti-Galiani a cui appartiene la location dell‘evento, la quale ha richiamato alla memoria quanto tracciato dal suo bisnonno, Aurelio Galiani, uno dei primi sindaci del territorio e già anni addietro sostenitore della Montoro unita, il quale, in uno dei suoi contributi, si espresse con terminologie molto simili a quelle usate dall’autore del libro presentato, in merito alla distinzione tra mistificazione e verità storica: come il Pinto nel suo testo afferma: “il mito non trasfiguri la personalità“, così il Galiani, riferendosi al fenomeno infestante dei briganti criminali, dice “dal campo leggendario scendiamo in un altro di effettiva cronaca nera, piena di ferocia e di sangue“ (cit. da Montoro nella storia e nel folklore, 1990). Quindi, la parola è stata consegnata al protagonista della serata: l’autore, panomaricando sulla trama, ha centralizzato il suo discorso sulla finalità dell’opera che è quella del definire “come si fa una Nazione“, attualizzando e ricordando che il pensiero politico non può prescindere da quanto già avvenuto nel passato, da una visione obiettiva di tutte le variabili e delle inclinazioni differenti e anche contrarie, e da una correttezza di verità, nonchè da prontezza nel fronteggiare le incognite. Hanno fatto da cornice all’evento, in questa sera di fine estate, i giardini del palazzo Galiani-Pironti dalle geometrie settecentesche e dalle piante secolari rimaste intatte, ove si crea e si sente un feedback, un interscambio, un richiamo, e sul quale è sceso il tramonto nel corso dell’evento, come notato e detto dall’autore per inciso nel suo discorso: “questo tramonto che ha reso ancora più intensa questa storia“ .
Don Michele Bianco da Torre le Nocelle, in provincia di Avellino, è nato nel 1966 a Baselice, nei pressi di Benevento, ed è sacerdote, rettore del santuario di San Ciriaco, teologo, esorcista, scrittore, e docente universitario. Al pensare che un uomo possa essere capace di tanto, si fa fatica a credere che possa essere vero. Don Michele é davvero tutto questo. Il parroco instancabile, serve il Signore officiando messa, ricevendo pellegrini e chiunque voglia confessarsi o confidarsi con lui. Il suo tempo é dedicato al prossimo, ai suoi studi, alla meditazione e alla preghiera. Durante le solenni festivitá, si immerge anima e corpo nelle processioni e conduce il popolo per le strade del paese e con le preghiere a Dio. Con la zimarra addosso, don Michele testimonia il suo attaccamento alle radici della Chiesa, e questo, al di là delle apparenze, fa la differenza nel mondo ecclesiastico. Don Michele é dotato di “carismi” intesi nel significato teologico di doni divini elargiti dal Cielo a vantaggio dell’intera comunità; interessante, tra questi, la “cardiognosia”, e cioè la “conoscenza dei cuori”. Dal greco cardia = cuore e gnosis = conoscenza, tale termine indica la capacità di comprendere i segreti del cuore. E proprio mentre don Michele legge i cuori di coloro che gli parlano, non può non notarsi la trasmissione di una straordinaria serenità. Colloquiando con lui, si nota la sua vasta cultura testimoniata dalle frequenti citazioni latine condita da una manifesta intelligenza. Quando si dialoga con don Michele, ad un tratto, quasi all’improvviso, egli esprime delle frasi precise, precisissime, a volte diagnosi cliniche veritiere che soltanto dalla conoscenza della scienza medica potrebbero provenire, e non da un uomo che medico (di fatto) non è, ed è lì che don Michele diventa “tramite”, perché è tramite quei momenti improvvisi di parole precise che ci trasferisce quelle frasi che non possono che provenirgli dal Cielo. E lui continua, senza stancarsi, tutti i giorni, con brevissime pause di riposo, risponde a tanti, instancabile officia messa, riceve in confessionale e parla. Parla con una serietà che non è pesantezza ma è, per dirla come Calvino, “planare dall’alto”, guardando con giusto distacco ed obiettività, consigliando la soluzione più saggia, non risparmiando sentimenti solidali ed anche espressioni ironiche. Sempre ricchi di contenuto sono i suoi discorsi, limitati al solo bene, evitando quanto può esserci di superfluo, perché nel superfluo e nell’inutile c’è il diabolico. Andateci, andate a trovarlo presso il santuario di San Ciriaco a Torre le nocelle (Av). Che crediate o no.