A ridosso della Pasqua, un libro che “fa vedere” e che parla a chi crede e a chi no 

C’è un modo per vivere il periodo della Pasqua in modo diverso: leggere un libro particolare. Si tratta della raccolta delle visioni sulla Passione di Cristo che la mistica veggente e stigmatizzata, vissuta tra il XVIII  e il XIX secolo, suor Anna Katharina Emmerick, beatificata nel 2004 da Papa Wojtyla, ebbe e raccontò ad un visitatore, lo scrittore, poeta e viaggiatore tedesco di origini italiane, Clemens Brentano, esponente del Romanticismo. Sicuramente, il dubbio assale il lettore, che sia credente o meno, sulla autenticità del fenomeno delle visioni e sulla adeguatezza della loro trasmissione da parte di Brentano, ma si ricordi che la suora, vissuta in particolare “simbiosi cristica”, fu sottoposta, come altri stigmatizzati, ad una commissione di inchiesta. Le visioni della Emmerick sono state raccontate anche in altri contributi, come nel diario tenuto dal suo medico, dott. Wesener, e, a proposito di Brentano, c’è da dire che sebbene quest’ultimo, artista romantico, sia conosciuto sopratutto per le sue opere fantasiose e fiabesche, in questo libro egli si trova nelle vesti di un viaggiatore -la suora stessa lo  definì “il pellegrino”- e quindi racconta come testimone, come portavoce, come cronista. Le descrizioni dei paesaggi, per esempio delle case con “i tetti completamente piatti dove si coltivano numerose piantine di incenso e arbusti di balsamo”, la dovizia di particolari, l’indugiare sui tratti somatici (“vidi la Madonna molto chiaramente; le sue guance erano pallide e smunte, il naso aveva la forma sottile e i suoi occhi erano arrossati, quasi sanguinanti a causa delle abbondanti lacrime versate”); l’approfondire i dettagli in maniera quasi certosina (“i rami (ndr della corona di spine) erano intrecciati artisticamente e appartenevano a tre specie di arbusti spinosi, simili al susino e al biancospino”)e’ probabilmente specchio del realismo dei contenuti; talvolta, peraltro, la lettura si fa difficile e faticosa perché angosciante e’ la descrizione del dolore fisico e impressionanti le dinamiche e gli effetti delle lesioni inferte al Cristo, e realistico perché compatibile sotto il profilo scientifico; a tal proposito, la stessa mistica sembra ammonire il lettore quando dice:” che vergogna per noi se per debolezza o per disgusto ci rifiutassimo di narrare o di ascoltare il racconto delle innumerevoli sofferenze che il nostro Redentore, l’Agnello senza peccato, ha dovuto sopportare”, tanto che, sulla croce, “era perfino possibile contare le ossa, le quali, in qualche punto attraverso la pelle lacerata, era possibile perfino vedere”, ricoperto di “macchie orribili, nere, blu e giallastre” alludendo alla lunga durata delle sevizie patite, fino a che “il suo sangue rosso vivo divenne alla fine pallido e acquoso”, “simile” -e qui si allude alla causa della morte di Cristo- “ad un cadavere dissanguato e sfigurato” ma, comunque, pur nella atroce sofferenza, “nobile e maestoso” e con una “inesprimibile luce di immensa potenza”. Va quindi probabilmente salvaguardata la autenticità storica del narrato e la veridicità dei contenuti delle estasi della suora. La corrispondenza di quanto visto dalla mistica e quanto narrato nei Vangeli, che sono la fonte storica della vita di Gesù, e’ probabilmente un indizio di affidabilità, ma ci sono anche dei quid pluris, per esempio allorquando  la mistica afferma di non ricordare tutto di quanto ha visto durante l’estasi, cosa che non avrebbe motivo di essere menzionata se fosse iniziativa del narratore, così come quando la Emmerick precisa : ”in tali visioni si percepiscono molte cose ma non possono essere trasmesse completamente nel linguaggio umano”. Inoltre, la specificità  del racconto sta nella descrizione, non soltanto dei paesaggi/luoghi/corpi/fenomeni atmosferici,  ma sopratutto  degli stati d’animo e dei caratteri/indoli dei personaggi, che forse nei Vangeli non sono approfonditi; in particolare, “Gesù parlo con pacata tenerezza” durante l’ultima cena e guardo’ sua madre dalla croce “con ineffabile tenerezza”; lo sguardo di Gesù “semi spento pieno di compassione esprimeva il suo perdono”; la loro (ndr di Gesù e di sua madre) “reciproca compassione fu una visione molto commovente”; Pietro era “confuso e intimorito” e con “tristezza impressa sul volto” al momento della cattura di Gesù; Pilato era un “superstizioso e un superficiale, facile a turbarsi”; e’ anche descritta la  “estrema mansuetudine” con cui “Gesù prese da sé stesso posizione sulla croce” per farsi inchiodare. Ne’ viene risparmiata la figura del demonio sempre in agguato ma sempre costantemente scacciato dalla scena e dalla mente del lettore:”per tutto il tempo della Cena vidi questo piccolo mostro giacere ai suoi (ndr di Giuda) piedi e talvolta si allungava fino al cuore del traditore” o, durante la crocifissione, sul Golgota, “orribili figure nere demoniache si muovevano in mezzo a quegli uomini crudeli ispirandoli a compiere le azioni più infami”. Quindi, oltre a spunti di teologia per i quali occorre evidentemente una meditazione e una conoscenza delle Sacre Scritture poco comuni, la rappresentazione degli stati d’animo sembra quasi  portare il lettore ad identificarsi una volta nell’uno e una volta nell’altro personaggio, perché nella vita probabilmente si sperimentano un po’ tutti o almeno svariati sentimenti, e la semplice e quotidiana umanità  delle visioni della mistica, pone  l’interrogativo: e se Dio fosse uno di noi?
E la risposta è affermativa, Gesù fu un uomo, con i suoi sentimenti, le sue amicizie, la sua paura, la sua disperazione, il suo senso di abbandono, e la sua pazienza, la sua mitezza, la sua superiorità (anche quando,in tribunale, “ogni suo insegnamento, parola o parabola, venne fraintesa intenzionalmente”), la sua rassegnazione, la sua morte (sulla croce “come un comune mortale lottava contro la morte: un sudore freddo gli copriva il corpo mentre il petto ansimava sempre più forte”) e più di tutto, la sua fede. Tutti abbiamo sacrificato qualcosa di importante, per una giusta causa, per il bene di qualcuno, perché ci credevamo.
E Lui più di tutti ebbe fede. Ed è quindi questo un semplice passaggio di testimone da Lui a tutti noi, all’umanità intera; anche i Santi sono stati come Lui, uomini e donne con una vita assimilabile alla nostra, che sbagliarono, piansero, risero, sorrisero, ma che si contraddistinsero per la fede. Questa è la grande scoperta che fa il lettore di questo libro: c’è qualcosa che supera, che distingue, che allontana e consente di combattere la sofferenza fisica e la tristezza dell’anima, e questa è la “fede”, parola che si può  leggere anche come “luce”.

Se i capelli ricciuti siano (come è proverbio) argomento di poco senno. Alessandro Tassoni (1612)

I capelli ricciuti sono segno di timidezza e di poco senno? Nel brano che segue, Il Tassoni affronta il probema, si incuriosisce e si affida al pensiero di Aristotele. Nel 1600 la genetica era sconosciuta, si argomentava su esperienze e pensieri filosofici cercando di dare spiegazioni più o meno appropriate su diverse tipologie di manifestazioni naturali. E’ affascinante lo sviluppo delle argomentazioni sul perchè, in alcuni, i capelli sono ricciuti e sul loro valore predittivo di una carenza di senno “l’intelletto, speculando e fantasticando, solleggia intorno a cose vane” o di un eccesso “genera un furor di pazzia come negli ubbriachi”. Con la nostra visione moderna, olistica ed universale, possiamo ben affermare che i capelli ricci hanno nulla a che fare con l’intelligenza.

“Palemone Ateniese, nel suo libro, scrisse che i capelli ricciuti fossero indizio di timidità e di pessimi costumi: “Capelli crispi hominem admodum pavidum, abhominabilem denotant”. Aristotile, nel decimo della sua fisiognomica parlò solo della timidità: “Qui capillos multum crifpos habent timidi sunt”. Il principio dell’arricciameto de’peli, secondo Aristotile, ha due ragioni, l’una nell’esalazione calda,e secca, e l’altra nel mancamento dell’umido. Dalle quali parole d’Aristotile noi caviamo, che la ricciutezza dei capelli, può da calore, e da ficcità derivarsi, da soverchio calore di cervello. Gli stessi capelli, mostrati al fuoco, o toccati con ferro caldo, si fanno ricci; Il cervello, come dice Aristotile, nel medesimo luogo, di sua natura è predominato dal freddo e dall’umido; nondimeno, moderatamente diseccandosi,o riscaldandosi acquista perfezione; imperocchè, nell’asciugarsi, glı spiriti s’assottigliano, donde nascono l’ottime contem plazioni,e l’eccellenza della filosofia. Eraclito afferma: “…e col calore gli spiriti s’infervorano dando origine al Vaticinio e alla Poesia e nell’operare l’eccellenza della fortezza, chiamata virtù Eroica”. Ma come il moderato riscaldamento del cervello è perfezione dell’intelletto, così, l’asciugarsi o riscaldarsi a dismisura guasta l’operazione di quella potenza, e la simmetria degli organi, in guisa che l’intelletto con essi opera si, ma male: quindi assume che’l cervello riscaldato soverchiamente genera un furor di pazzia come negli ubbriachi si vede: ma quando nella propria materia del cervello è concentrata ed impressa, e gli organı sono disconcertati, genera un furor pazzo e lungo come quello di tanti, che impazziscono per amore. Ma, se’l cervello è soverchiamente disseccato, sol partorire un’altra forte pazzia, più piacevole, che si chiama delirio, perciocchè l’intelletto, speculando e fantasticando, solleggia intorno a cose vane, impossibili, e contradictorie.”

Alessandro Tassoni (1565-1635)

Lettera anonima redatta nel 1719

La lettera che segue riesce a dare idea di come migliorarsi nel tempo: “Pigliare la mira alta”, evitare le mediocrità ed adoperarsi da soli ingegnandosi a dare il meglio di se. Chi cresce con l’aiuto degli altri, col tempo rientra tra i suoi ranghi. Il pensiero di Aristotele è sempre valido, la luce in presenza del buio risalta di più, il buono vicino al cattivo è più evidente come è più evidente il cattivo vicino al buono.


23 novembre 1718.

“Signor mio. La maniera buona di rifiutare una opinione altrui è quella di veder prima il fondamento
che hanno quelli che la sostengono. L’uomo non si deve contentare della mediocrità, ma andare sempre al sommo delle cose e al perfetto; pigliare insomma la mira alta. Così se ognuno facesse nelle città l’opera e l’officio suo eccellentemente, e s’ingegnasse d’esser superiore a tutti gli altri della sua propria professione e mestiero, sarebbe questa una bella gara, una discordia lodevole. A voler che si conosca con fondamento il buono, e che se ne sappia dare certa e stabile ragione, bisogna vedere anche il cattivo, perchè, come dice Aristotile che i contrari posti l’uno accanto all’altro, più spiccano. Se non ci fusse il cattivo, con che paragonarlo, non farebbe spicco il buono, nè si mostrerebbe il lume delle cose buone, se non prendesse suo risalto e ricrescimento dalle cose scure e cattive.”

Il 1800, secolo del Risorgimento, anche in medicina i cambiamenti.




Nel 1848 si dibatteva nelle sedi delle Accademie mediche sul riformare le Università degli Studi verso la completezza formativa dei giovani medici. Alcuni docenti iniziarono a sostenere che materie come la mineralogia, la zoologia, la chimica farmaceutica erano argomenti necessari per preparare adeguatamente le nuove generazioni di studenti ed adducevano a sostegno delle loro tesi che il corpo umano si compone di minerali e di principi organici ed affermavano che “…essi principi costituiscono gli alimenti coi quali mantiensi la vita e ci forniscono i varii rimedi dei quali ci serviamo in medicina. L’uso di alcune parti del corpo umano ci sarebbe tuttora ignoto se non ci fossero gli studi degli animali sui quali possiamo osservare e sperimentare le singole funzioni che in noi eseguiscononsi; sono assai meglio intese e spiegate dopo che esse studiaronsi diligentemente nell’intiera serie dei corpi viventi. La mineralogia pertanto, la zoologia e la chimica organica non sono meno essenziali al medico di quello che lo siano per esso la fisica, la chimica organica e la botanica…. eppoi si faccia in modo che ognuno degli allievi trovi nel laboratorio di anatomia la massima facilità e tutti i mezzi opportuni per esercitarsi sul cadavere durante tutto quel tempo che loro è necessario in quelle ore che sono lasciate libere dalle lezioni dei singoli professori. L’attuale regolamento stabilisce che un solo professore debba, in non più che otto mesi di corso, dare l’igiene, la polizia medica, la medicina legale, la tossicologia. Egli è impossibile che in così breve spazio di tempo un solo professore dia un insegnamento compiuto di tutte queste materie. Sarebbero necessari tre professori: uno per l’igiene e la polizia medica, uno per la medicina e chirurgia legale, ed un terzo per la tossicologia. Due altre cliniche sarebbero necessarie, quella delle malattie infantili e quella delle malattie cutanee (Reale Accademia Medico-Chirurgica di Torino, 7 marzo 1848)” Gli studi di medicina iniziavano a prendere forma più compiuta, accresceva l’interesse verso quelle nozioni che, nel tempo, si mostravano efficaci nell’affrontare le malattie con una visione più ampia e si dava all’Italia, che a breve sarebbe divenuta unita sotto il regno dei Savoia, ed agli Italiani, un sostegno formidabile alla salute pubblica.

“Onde vegna, che di Padri di molto senno, nascano figliuoli balordi e di Padri balordi figliuoli di molto senno”. Alessandro Tassoni 1620

Da dove viene che da padri molto intelligenti nascano figli deludenti e da padri del tutto incapaci nascano figli molto capaci. Alessandro Tassoni (scrittore e poeta, nato dal conte Bernardino di Modena, di indole orgogliosa, pubblicò nel 1620 i suoi “pensieri”), si interroga su questo dilemma. Le conoscenze scientifiche nel ‘600 erano molto limitate e lo scrittore si istruisce nel dare una qualche spiegazione al fenomeno, osservando e dando ragione al comportamento dell’uomo durante il congiungimento, che se è istintuale, animalesco, dà frutti imperfetti, se invece fa prevalere la dolcezza, l’amore, l’attenzione, il rispetto, ecco che si generano figli intelligenti. La donna è vista come accoglienza, cura della gestazione; nell’osservare, poi, che vi sono figli che somigliano più alla madre che al padre, riconosce che anche la donna partecipa alla formazione del nascituro come vuole Ippocrate. Infine, riconosce che uomini di grande ingegno somministrano al nascituro quanto hanno in serbo, al momento del concepimento.


“Onde vegna, che di Padri di molto senno, nascano figliuoli. balordi; e di Padri balordi figliuoli di molto senno.Alcuni dicon che l’esser savio, o pazzo, sia qualità dell’anima, ma essendo l’anime create da’ Iddio, e non generate dagli huomini, non habbia da parer marauiglia, se quelle de’ figliuoli non rassomigliano talora a quella del padre. Ma l’essere un’huomo savio, o pazzo secondo i migliori filofofi, non viene dall’anima, ma dalla disposizione o indisposizione del Padre che genera un altro simile a lui, con l’istessa perfezione o imperfezione generar lo dourebbe colle medesime qualità. Alcuni hanno inventato un pensier poetico, che piace a molti e che afferma che gli huomini di poco ingegno nell’atto del congiungimento, s’applicano con tutto l’animo a quell’azione; onde, per questo, sogliono generaré i figliuoli pazzi. I Padri di grande ingegno, se vanno coll’immaginazione nelle speculazioni, servando nell’atto, l’istesso tenore del congiungimento, sogliono per lo più generare i figliuoli balordi, da qui nacquero Marco figlio di Cicerone che condusse una vita dissoluta e dedita ai piaceri, Claudio figlio di Drufo, Gaio figlio di Germanico, Commodo figlio di Marco Antonino, Lamprocle figlio di Socrate che secondo Aristotile si rivelò insignificante, stupido ed ottuso. E. Stratonico Fifico (come riferisce Galeno) tenne, che’l seme predominante, o della donna, o dell’huomo fosse quello, che il parto formasse; e che l’altro servisse nel ventre per alimento al bambino. E di questa dottrina d’Ippocrate, e di Stratonico se ne da l’esempio nell’huomo, il quale essendo composto di due semi diversi, l’uno d’essi forma il pulcino, e l’altro gli serve per alimento. Alcuni altri dicono: che quando da padre di grande ingegno nasce un balordo e dappoco, ciò viene perchè il seme della madre prevale non essendo quello dell’huomo ingegnoso per generare; e l’huomo generato da seme di donna, non può esser prudente per cagione del molto freddo, e umido di quel sesso. Oltre a questo disposto, habbiamo al contrario Aristotile, e tutta la scuola Peripatetica, che niega, che mai la donna, con seme alcuno, alla generazione concorra, volendo, che quello che in lei ne par seme, non sia altro, che sudore della matrice. Benchè questa opinione d’Aristotile, per l’autorità di tant’huomo, sia accettata comunemente, a me sempre è piaciuto più quella d’Ippocrate che sostene che la donna babbia feme, il quale alle volte anch’egli alla generazione possa concorrere, vedendo noi, che i figli, molto spesso, s’assomigliano di faccia, e di costumi, più alla madre, che al padre. Don Gregorio Pomodoro, illustre ingegno dell’età nostra dice che negli huomini sapienti per esser contemplativi, tutta la perfezione del sangue loro, che è tenue e sottile, ascende al capo a confortare il cervello e che dell’altro, che rimane feccioso e mancante di calore e di spiriti, si genera il seme il quale poscia, o per la sua imperfezione è infecondo o produce parti insensati. Io non negherò che negli huomini spiritosi e grandi, non sia vero, che tutti gli spirti più vivaci si riducano al cervello per quivi somministrare virtù e vigore alle potenze dell’intelletto.”

Alessandro Tassoni (1565-1635)