Studio medico-legale su l’aborto. Dott. A. Tardieu, 1850

Il brano che segue, tratto da un testo di medicina legale di metà ‘800, che riporta uno studio sull’aborto, rattrista il lettore; l’argomento non può essere gradito ai cuori gentili perchè di fronte a tanta disumanita’ l’orrore penetra e fa rabbrividire. La medicina della vita deve fare la sua parte, ed interviene sottolineando il male e nel contempo invitando al bene. Il 900 ha visto legittimare l’aborto con una legge la n.194 del 22 maggio 1978, propagandata come conquista civile, ma non vi sono conquiste civili quando si prevede l’omicidio di innocenti.

“Le donne accusate del crimine furono per la massima parte dell’età di venti, venticinque anni; le più fra esse nubili e spinte a delinquere dall’idèa del disonore; non escluso però qualche caso di donne maritate, alcune delle quali costrette a subire la sconciatura dalla cupida avarizia o dalla depravazione del marito. L’epoca della gravidanza, in cui accade più spesso l’espulsione criminosamente procurata del produtto del concepimento è fra’l terzo mese ed il quinto od il sesto. Il qual fatto ha una ragione fisiologica e morale del suo avvenimento; e per ciò che la donna, prima di venirne a questa colpevole estremità, deve attendere una certa quale sicurezza del suo stato, che non può raggiungere se non al terzo mese; e verso il quinto non è inverisimile che essa trovi nei movimenti della propria creatura un ritegno istintivo a farne sagrificio. La grande maggioranza dei casi mostra pur troppo a canto d’un’accusata, non di rado passiva, un complice che disonora la professione dell’arte salutare, una levatrice e talvolta anche un medico. Nelle trentanove osservazioni da me studiate, si trovano fra i colpevoli venti levatrici e quattro medici! Allorquando una levatrice venga involta in un’accusa di procurato aborto, i periti ponno trovarsi nella circostanza di dover rispondere intorno alle condizioni di esercizio della professione della coaccusata ed alle restrizioni cui questa professione è sottoposta; e ciò a proposito di una prescrizione fatta, o dell’amministrazione di una data sustanza medicamentosa, o di stromenti che siansi adoperati e l’uso dei quali oltrepassi la sfera legittima d’azione delle levatrici. Ben poche sono le donne che, deliberate a sconciarsi, innanzi di abbracciare il partito estremo d’un atto operativo di cui temono i pericoli, non cerchino di evitarlo ricorrendo ad altri mezzi indiretti da loro supposti egualmente idonei a conseguire lo scopo. La maggior parte confessano di aver ricorso a pozioni o sustanze medicamentose, o pure di essersi assuggettate ad alcune pratiche speciali. Riguardo a quest’ultime, esse consistono in emissioni sanguigne generali o locali, in bagni d’ogni maniera, in esercizi corporei affaticanti e forzati, in cadute od altre violenze volontarie (fra le quali può annoverarsi anche la strettura energica del ventre diretta). Quanto alle pozioni o sustanze medicamentose delle quali infinita è la serie, ad incominciare dalle purgative, dalle diuretiche e sudorifere, per venire sino alle emmenagoghe ed alle credute abortive specifiche, la loro impotenza ne eguaglia la molteplicità; Non di meno ve n’ha alcune che sono specialmente in voce di possedere un’azione appropriata a procurare l’aborto; quali sono la sabina, la ruta, la segale cornuta.
Ma dove si tenga esatto conto dei fatti, si riconosce che, se l’azione velenosa della sabina, e più ancora della ruta, si combinano con una certa qual influenza particolare su la matrice, lo stesso non è da dire della segale cornuta che, impotente a provocare la contrattilità di quest’organo , non agisce sovr’esso che per una specie di stimolazione secondaria. Ad ogni modo per altro sì quelle, che questa, hanno potuto in più d’un caso provocare l’aborto. I mezzi diretti che si impiegano a procurare l’aborto, cioè a dire i maneggi od atti operativi, consistono in operazioni più o meno grossolane, praticate su l’utero con l’intento d’introdurvi un corpo straniero e ledere le membrane dell’uovo. La loro esecuzione in genere, non esige nè una mano molto abile sicura, nè un apparecchio complicato, ed anzi talora può compiersi co’l sussidio della mano soltanto. Dove si usino stromenti, ed è il caso più frequente, questi non sono già, come si crede, di una qualità speciale ed apposita, ma generalmente appartengono agli oggetti di uso più commune e domestico; tali furono in più d’una circostanza un ferro da calze, una bacchetta o regolo da tendine, uno spillone, una penna d’oca, un bastoncino, un fuso, ecc. La sensazione provata dalla donna nel momento dell’operazione varia estremamente da quella d’un semplice frugamento, o di una puntura, fino a quella (ed è la più commune) d’un dolore istantaneo, violentissimo, o come di una lacerazione nel basso ventre ed all’ epigastrio, con successione di attacchi nervosi, deliqui, smarrimento completo di sensi, ecc. e quasi sempre con perdita di sangue, e più raramente di liquido amniotico. Poi, se l’operazione è riuscita, la perdita sanguigna ricompare e spesseggia e successivamente il travaglio si dichiara più o meno prontamente; e l’espulsione del feto, annunziata dai dolori caratteristici del parto, avviene entro uno spazio di tempo fra le cinque ore e li undici giorni non oltrepassando però di consueto i primi quattro giorni dall’operazione. Le conseguenze ulteriori dell’aborto criminoso sono costantemente gravi e funeste, più gravi e più funeste che non siano quelle dell’aborto naturale od accidentale. Esse risolvonsi nella morte più o meno pronta nei primi giorni, od anche subitanea, per infiammazione acutissima dell’utero e del peritoneo, per emorragia, ed in qualche raro caso per sincope (produtta forse dall’ eccesso dei dolori fisici e dalle distrette morali insieme); nella morte più tarda per tumori ovarici, per focolari purulenti nel bacino, per degenerazioni cancerose della matrice. Che se per avventura siffatte conseguenze mortali vengono da alcune donne sfugite, rimane però alle medesime per lo più un notevole deperimento nella salute in genere, od una irregolarità persistente nella mestruazione, o la ricorrenza abituale di dolori nei fianchi e nel basso ventre, e tutto il corteggio dei mali che accompagnano le flogosi lente dell’utero e delle sue dipendenze.”