L’Autore descrive in che modo, senza l’ausilio di apparecchiature diagnostiche strumentali (i raggi x vennero scoparti nel 1894, ventuno anni dopo la pubblicazione del caso), ottiene la guarigione di una ferita da arma da fuoco, pur infetta. Può ipotizzarsi l’uso dell’etere come anestetico generale, anche se non riportato dall’Autore, visto che veniva utilizzato dal 1846, anno del suo primo utilizzo. L’intervento è cruento; il canale formatosi dal tragitto del proiettile nei tessuti viene sondato col mignolo e con l’ausilio di uno specillo viene localizzato il proiettile ritenuto. La procedura affascina per la meticolosa descrizione e la guarigione apprezzabile visto che antibiotici non se ne conoscevano e i rischi di una amputazione del braccio erano alti.
“Il ferito aveva 36 anni e potè, dopo successo il fatto, camminare per qualche tempo, finchè svenendo per la emorragia venne raccolto. Laskowiski lo vedeva cinque giorni dopo e nel frattempo non erasi fatta alcuna cura. Il di lui braccio sinistro erasi rigonfiato e resosi dolente; all’ inserzione del deltoide scorgevasi la ferita d’entrata del proiettile, piccola e ristretta dal turgore infiammatorio permetteva appena la immissione del mignolo, non eravi apertura di uscita e la deviazione nell’ asse del membro indicava la successa frattura dell’ o- mero: eravi febbre violenta e si adagiava semplicemente l’arto in una doccia metallica; esplorando col dito si arrivava al focolaio della frat- tura, ove sentivasi una moltitudine di frammenti in parte liberi, in parte aderenti, e coll’ aiuto dello specillo si giungeva a sentire la palla nella parete posteriore del cavo ascellare e veniva estratta mediante apertura lungo il margine inferiore del gran dorsale. Era un proiettile Chassepot leggermente sformato, e con esso levaronsi alcuni frastagli di vestimenta. Si praticava quindi lo sbrigliamento dell’ aper- tura d’entrata, tolte parecchie scheggie si passava attraverso ai due orifici un tubo a drenaggio e riposto il membro nella doccia appli- caronvisi cataplasmi emollienti; indi irrigazioni attraverso alla ferita con acqua fenizzata, ma i fenomeni di assorbimento si dichiarano ben- tosto tanto con le febbri accessionali quanto con dolore all’ipocondrio destro e la insorgenza di una artrite alla articolazione tibio-tarsica del medesimo lato che in cinque giorni passava a suppurazione . Miti- gati i primi con alte dosi di solfato di chinina, aprivasi il secondo col taglio, verificandosi la scopertura del malleolo esterno e la suppura- zione della cavità dell’articolazione; i margini scollati mortificavansi e venivano escisi , restava così allo scoperto il malleolo cariato; depuratasi la piaga ed incominciatane la cicatrizzazione, l’osso veniva raschiato e messo così a nudo lo strato sano, prestamente granulava, la piaga in un mese era guarita. In quanto alla frattura, essendo dessa comminutiva, Laskowski, non sperandone una consolidazione pura e semplice, proponeva di intervenire attivamente. Infatti, introdotto il dito nell’ orificio di entrata, rilevava che i monconi dell ‘ omero erano perfettamente denudati e cariati per la estensione di più centimetri, e non volendo andare incontro al lungo ed incerto processo di eliminazione spontanea, ne praticava la resezione. A questo fine, dopo avere allargata l’apertura di entrata mediante incisione verticale , accortosi che i monconi cariati erano molto rarefati e debolmente adesi al restante dell’osso, li es- portava con una robusta molletta incisiva , riponeva quindi in sito il tubo a drenaggio, adagiando l’arto in un apparecchio imbottito. La suppurazione seguitane fu abbondante e di buona qualità, formaronsi varii ascessi all’ ingiro della frattura che si dovettero aprire per estrarre qualche scheggia, il focolaio andò lentamente riempiendosi di linfa plastica, e nello spazio di due mesi il callo era sufficientemente più solido da permettere l’ablazione dell’ apparecchio. Durante tutto il tempo della medicazione adoperossi l’acqua o la glicerina fenicate. L’accorciamento dell’ arto riuscì di circa due centimetri, del resto conservò le dimensioni normali, e l’ammalato godette la integrità as- soluta di tutti i suoi movimenti; non rimaneva che un piccolo seno fistoloso gemente qualche goccia di pus, che ammetteva a stento lo specillo e probabilmente sostenuto da una piccola scheggia destinata ad essere eliminata.”