Lettera del Sig. Maupertuis a D. Arnaldo Speroni, monaco-decano Cassinese e maestro de’ novizi in S. Giorgio Maggiore di Venezia. 1759

Pietro Ludovico Moreau di Maupertuis (1698-1759), bretone, fu membro della regia Accademia delle scienze di Parigi. Riflettendo sulla opportunità che un cuore generoso dedichi alla salute pubblica l’ingegno e le forze dell’animo, si apprestò a scrivere lettere su varie questioni. La lettera che segue, ha un contenuto sorprendentemente attuale. Ricordare un dolore passato non è gradevole, ricordare un bene con rincrescimento, è una pena nel cuore. Egli valorizza il presente escludendo la memoria del passato e la previsione del futuro.

“Sopra la Memoria e sopra la Previsione

Il nostro spirito, la di cui principale proprietà è di percepire se medesimo. e di percepire tutti gli oggetti che gli sono d’intorno, è anche dotato di due altre facoltà, cioè di Memoria e di Previsione. la prima è un richiamo del passato e l’altra, una anticipazione sull’avvenire. La vita dell’uomo pare più occupata intorno a questi due stati, che non del presente. L’una e l’altra di queste facoltà, sembra data all’uomo per regolare la sua condotta e per render la di lui condizione migliore. Se il passato fedelmente ci rappresentasse, pare che avendo noi la scelta di richiamarne alla memoria questa, o quella parte, non potremmo non risvegliare nell’anima nostra, che sentimenti aggradevoli; ma così non sono le bisogna. Giammai non ci si rappresenta il passato senza qualche sentimento che lo alteri, e lo sfiguri, sempre a nostro disavvantaggio. Il ricordarsi di un male, non ha nulla di aggradevole, e il risovvenirsi di un bene sempre accompagnato da un rincrescimento, non è che una pena. Dunque la memoria ci fa più perdere che guadagnare. In quanto alla previsione, ella è anche più lontana dal vero, e il dono di lei comparisce anche assai più funesto. Esagera essa il male che si teme, e rappresenta con inquietezza il bene che si desidera. Lungo tempo egli è già che fu detto, che il presente è il nostro solo bene; e questa proposizione è assai più vera, che non si pensa. se il presente si potesse purgare del veleno, onde l’infettano la reminiscenza e la previsione, sarebbe egli uno stato molto felice.”

Pierre Luois Moreau de Maupertuis (da Wikipedia)

Cura degli spandimenti pleuritici con il latte. Lettera del Dott. Francesco Forti al Prof. Luigi Casati. (Caso II).

Il secondo caso è una conferma di risultato, del trattamento efficace con il latte, ottenuto col precedente caso clinico descritto dall’Autore, ed è anche un invito ai colleghi medici di aver fiducia nella cura lattea, la quale, come afferma egli stesso: “suol produrre i suoi favorevoli effetti pressochè istantanei”. La pubblicazione avvene sul medesimo giornale “Il Raccoglitore Medico”, volume XXIII, nell’anno 1872.

(II caso) – Il Sig. Luigi del Comune di Civitella, di 40 anni, si ammalò nel mese di marzo con freddo, tosse e peso allo scrobicolo del cuore. Nel mese di giugno, quattro mesi dopo l’incominciare della malattia, fui invitato a visitarlo. Trovai l’infermo in uno stato gravissimo, affetto da essudato pleuritico destro esteso. Avendo ottenuto l’esito il più favorevole nel Sig. Domenico, ordinai il latte, colle medesime precauzioni e prescrizioni, anche al Luigi che fece uso di quello di vacca. Dodici giorni dopo dal principio della cura, l’infermo venne a trovarmi perfettamente guarito. Il miglioramento si manifestò fino dai primi
momenti con diuresi abbondante, asserendo l’infermo che per l’uso del latte aveva continuo bisogno di mingere, e l’urina affluiva facile, limpida e in abbondanza. Iniziato il miglioramento, andò man mano progredendo fino alla scomparsa del liquido effuso, cioè fino alla guarigione. E qui pongo fine col pregare i miei Colleghi ad aver tutta la fiducia, in casi simili, nella cura lattea, la quale, in confronto degli altri metodi, suol produrre i suoi favorevoli effetti pressochè istantanei. Di più, con tutto il rispetto dovuto
a quei sommi che della toracentesi sono partitanti, oserei asserire che la cura lattea ne è superiore; primieramente perchè non è possibile trovar infermo che si rifiuti di intraprendere un tal metodo di cura, e un bel esempio l’abbiamo nel Luigi che acerrimo nemico del latte, pure di buona voglia si sottomise alla dieta lattea; mentre grande è il timore che inspira al paziente la toracentesi. Secondariamente in caso di errore di diagnosi che danno ne potrebbe derivare all’infermo dalla cura lattea?
Mi perdoni sig. prof. e mi abbia per sempre della S. V. Illustrissima
Civitella di Romagna 23 Luglio 1872.
Devotissimo Collega
Dott. FRANCESCO FORTI”

Cura degli spandimenti pleuritici con il latte. Lettera del Dott. Francesco Forti al Prof. Luigi Casati. (Caso I).

Gli alimenti possono essere utilizzati come veri e propri farmaci! Significativa l’eperienza ottocentesca del Dott. Forti su un caso di pleurite guarita con l’uso del solo latte. Straordinario l’approccio clinico sul paziente; la semeiotica medica è applicata con perfezione, i dettagli della visita sono così precisi da condurci al cospetto dell’ammalato e il risultato della terapia tanto sbalorditivo da comunicarci la sua esaltazione di vittoria sulla malattia. La lettera venne pubblicata sul giornale “Il Raccoglitore Medico”, volume XXIII, nell’anno 1872; da pochi anni si era realizzata l’Unità dell’Italia e proprio nel 1872 muore a Pisa chi tanto l’aveva voluta, Giuseppe Mazzini.

“Pregiatissimo Professore.
Avendo sperimentato l’efficacia del latte in un infermo affetto da essudato pleuritico, ne ho raccolto la storia, e sembrandomi degna di qualche attenzione da parte dei medici, gliela spedisco per sottoporla a lei. Se la crederà interessante, le sarò grato se vorrà inserirla nel suo accreditato giornale.
Il Sig. Domenico del Comune di Civitella, d’anni 43, nel quarantesimo dell’età sua, nell’aprile del 1871, sofferse di pleuro-pneumonite destra, obbligandolo a letto per molto tempo. Quando lo visitai per la prima volta, giacea da oltre otto giorni. Alla visita mi riferiva che il male era esordito con intenso freddo, con febbre, dolor puntorio al costato destro, con tosse con poco escreato ed affanno. Egli non poteva decombere che supino e per lo più semiseduto. All’esame soggettivo ed oggettivo le respirazioni erano 40 al minuto, brevi e superficiali, i battiti del polso 110; temperatura alta, il color della cute giallo-terreo, muscoli flosci, pannicolo adiposo scarsissimo. Il dolore accusato estendevasi in basso, verso il bordo libero delle coste, ed in alto sopra la spalla a destra, col punto di massima intensità fra la linea clavicolare ed ascellare, all’altezza della sesta costa. Aveva sete ardente, nullo l’appetito; le urine erano scarse e sedimentose, rade le defecazioni. All’ispezione gli spazi intercostali di destra apparivano più ampli di quelli di sinistra, e più arcuato il torace da questo lato. Il movimento respiratorio a destra era quasi mancante, specialmente all’altezza della quarta costa fino alla base del torace che al palpamento dava maggior resistenza; il fremito pettorale era pressocchè estinto in tutto l’ambito del polmone, meno superiormente ove anzi era molto ben percepito. Il fegato sporgeva di un dito traverso sotto il bordo libero delle coste. Alla percussione si aveva a destra suono muto tanto anteriormente che posteriormente dal terzo spazio intercostale in basso, superiormente suono timpanitico. All’ ascoltazione era scomparso il murmore respiratorio, mentre, ove la percussione dava suono timpanitico, si sentiva la respirazione vescicolare esagerata con rantoli a grosse e piccole bolle; posteriormente contro la colonna vertebrale si sentiva la respirazione bronchiale. Nel polmone sinistro si avevano tutti i segni di un catarro bronchiale. Diagnosticai una pleurite destra con essudato abbondante. Avevo letto di fresco le belle esperienze del Siredey sull’uso del latte contra ogni sorta di idropisie; volli tentarne la prova e l’effetto fu superiore alle mie aspettative. Il paziente non avendo a sua disposizione il latte nè di vacca nè di asina fece uso di quello di pecora e capra mescolato. Ne bevve circa un litro e più al giorno. La guarigione fu quasi istantanea. Quindici giorni dopo dal principio della cura, essendomi io recato a visitarlo, egli che prima era impotente di mover passo fuori da casa sua, vennemi incontro a piedi rallegrandosi meco dell’efficacia della cura, ed infatti aveva acquistato in forze ed in nutrizione oltre al colorito di un leggero incarnato. All’esame del torace trovai che l’essudato si era abbassato di circa quattro centimetri, e un mese dopo quando lo rividi, non ve n’era più traccia, ed il Domenico era guarito potendo attendere a’suoi lavori campestri, portar pesi, e far lunghe camminate senza incomodi. Soltanto per la rapidità dell’assorbimento, il polmone restato compresso per tanto tempo, non potè dilatarsi subito in tutta la sua circonferenza e ricever l’aria, gran parte rimanendo impervio a questa, di modo che, manifestamente, il torace da questo lato si era infossato e la spalla destra abbassata di molto. Qualche tempo dopo ebbi occasione di rivederlo e constatai che il polmone funzionava quasi per intero, come lo certificavano i segni fisici, e per avere il torace acquistato la sua configurazione normale, e per l’innalzamento della spalla.”

1991 – Intervista a Don Leone Maria Iorio, esorcista, sulle “Aggressioni diaboliche”

Don Leone, l’uomo e il peccato, prego…

L’uomo che vive nel peccato, non è necessariamente perduto, in qualche modo egli non è mai assorbito totalmente dal male, ma si dimena, si dibatte fra le due forze, quella del bene e quella del male: per salvarsi, deve chiedere aiuto, se non chiede aiuto alla forza positiva, a Dio, allora viene travolto, fulminato, imbrigliato in un turbine e tirato in un precipizio senza fondo. A me ha detto, in alcune occasioni: “quando dormi, ti vorrei soffocare”, posso ripetere le parole ma non la violenza delle espressioni che superano troppo l’umano, “..ma la Signora mi dice che non ti debbo toccare, ti sei affidato a Lei; quando sei sveglio, sei libero, ti vorrei folgorare, ma tu preghi sempre, non mi dai spiraglio… dammi uno spiraglio che ti folgoro!”. Qualche volta che ho pensato che la persona accorsa a me sofferente fosse schizofrenica, lui se ne è accorto e mi ha dato una sventagliata terribile, mi ha fatto stare male per parecchio tempo: io evito di cercare malattie negli individui che accorrono da me, evito di dare il passo alla scienza, faccio l’esorcista, mi afferro a Dio ed attraverso Dio intervengo e dovreste vedere come il demonio diventa ridicolo, insignificante.

Il suicidio lei lo vede come obiettivo diabolico?

Si, assolutamente, il suicidio è l’ultimo sbocco della persecuzione del demonio, della sua insidia. Ci sono si, delle tappe intermedie, ma lui mira come bersaglio lì, alla distruzione, non solo del singolo, ma anche delle persone intorno, della famiglia, e deve essere bloccato altrimenti distrugge tutti. Come elemento fondamentale, l’uomo nasce distorto dal peccato originale, dal primo istante del concepimento. Il demonio è pronto ad aggredirlo ma il Battesimo lo salva, attenzione però, lo salva sempre in rapporto alla libertà della collaborazione con Dio, alla scelta di desiderarlo il Battesimo. Non c’è nessuno che ci rispetta nella libertà come ci rispetta Dio. Il Diavolo, invece, vuole coartarci e schiavizzarci, ci inganna perchè riesce a presentarci come buono ciò che è cattivo e poichè ha una intelligenza superiore alla nostra in quanto è Angelo, se non ricorriamo all’aiuto di Dio, può abbagliarci, ha questo potere.

Don Leone Maria Iorio da Cairano

Lettera di Pietro Giordani a Caterina Franceschi Ferrucci

L’ardimento col quale, certo di se, Pietro Giordani (1774 – 1848) invitava alla cura dei piccoli, sottolinea le sue idee conservatrici. Egli sosteneva che la cultura classica è fondamentale per una buona preparazione delle nuove generazioni. Nella lettera che segue indica la strada da percorrere, l’educazione opportuna, affinchè un fanciullo divenga uomo e non bruto.

A Caterina Franceschi Ferrucci.

“Cara signora, ha tanto buon cuore che seguiterò a comunicarle i miei pensieri, che pur trovan pochi ascoltatori e nessun esecutore. Amo i bambini e mi affliggo e mi sdegno a vederli indegnamente trattati. Le sono obbligatissimo della promessa che mi fa, di comandar poco e proibir poco al suo figliolo, dì lasciarlo sviluppare liberamente le facoltà fisiche e morali, di non gli dir mai bugie di nessuna sorta, di non gli dir mai còse che non possa intendere e di rispondere alle sue interrogazioni, di non fargli mai fare nessun passo forzato né dì movimenti corporali né di morali, di preservarlo diligentemente da ogni errore. L’errore è peggio dell’ignoranza anzi l’ignoranza è gran male per questo, che è terreno dove si pianta l’errore. Lasci ancora per alcuni anni scarabocchiare liberissimamente il suo figliolo e mi creda che questo esercizio puerile gli tornerà a gran profitto. Sappia che come il corpo ha due mani, colle quali s’appropria 1’uso delle cose esteriori, il cervello ne ha tre e sono: Disegno, Calcolo, Lingua. Coi disegno egli introduce nell’ intelletto tutte le forme visibili, e divien potente non solo a rappresentarle, ma a modificarle. Col calcolo egli apprende e maneggia tutte le quantità, ond’ella vede ch’egli procede al di là del visibile, e si estende a tutto quello che può essere, anche immaterialmente, commensurabile. Colla lingua egli distende ancora più la sua potenza, perchè niuna cosa è che la parola non possa rappresentare, e sotto questa forma maneggiare, come fosse cosa visibile e misurabile come la sensazione, l’idea astratta, l’universale, l’affetto. Chi arrivasse all’eccellenza dei disegno sarebbe artista, chi possedesse tutta la potenza del calcolo sarebbe scienziato, chi portasse alla somma perfezione l’immenso uso della lingua, diviene scrittore. Dunque nella cima di questi tre istrumenti dell’intelletto sta il sommo della massima grandezza umana; ma nei gradi più bassi bisogna pur che si trovi chiunque vuol esser uomo e non bruto e tanto più è uomo quanto più possiede dì questa ricchezza: tanto meno è nomo quanto più se ne trova povero…”

Parma, 9 febbraio 1832.