Cura degli spandimenti pleuritici con il latte. Lettera del Dott. Francesco Forti al Prof. Luigi Casati. (Caso I).

Gli alimenti possono essere utilizzati come veri e propri farmaci! Significativa l’eperienza ottocentesca del Dott. Forti su un caso di pleurite guarita con l’uso del solo latte. Straordinario l’approccio clinico sul paziente; la semeiotica medica è applicata con perfezione, i dettagli della visita sono così precisi da condurci al cospetto dell’ammalato e il risultato della terapia tanto sbalorditivo da comunicarci la sua esaltazione di vittoria sulla malattia. La lettera venne pubblicata sul giornale “Il Raccoglitore Medico”, volume XXIII, nell’anno 1872; da pochi anni si era realizzata l’Unità dell’Italia e proprio nel 1872 muore a Pisa chi tanto l’aveva voluta, Giuseppe Mazzini.

“Pregiatissimo Professore.
Avendo sperimentato l’efficacia del latte in un infermo affetto da essudato pleuritico, ne ho raccolto la storia, e sembrandomi degna di qualche attenzione da parte dei medici, gliela spedisco per sottoporla a lei. Se la crederà interessante, le sarò grato se vorrà inserirla nel suo accreditato giornale.
Il Sig. Domenico del Comune di Civitella, d’anni 43, nel quarantesimo dell’età sua, nell’aprile del 1871, sofferse di pleuro-pneumonite destra, obbligandolo a letto per molto tempo. Quando lo visitai per la prima volta, giacea da oltre otto giorni. Alla visita mi riferiva che il male era esordito con intenso freddo, con febbre, dolor puntorio al costato destro, con tosse con poco escreato ed affanno. Egli non poteva decombere che supino e per lo più semiseduto. All’esame soggettivo ed oggettivo le respirazioni erano 40 al minuto, brevi e superficiali, i battiti del polso 110; temperatura alta, il color della cute giallo-terreo, muscoli flosci, pannicolo adiposo scarsissimo. Il dolore accusato estendevasi in basso, verso il bordo libero delle coste, ed in alto sopra la spalla a destra, col punto di massima intensità fra la linea clavicolare ed ascellare, all’altezza della sesta costa. Aveva sete ardente, nullo l’appetito; le urine erano scarse e sedimentose, rade le defecazioni. All’ispezione gli spazi intercostali di destra apparivano più ampli di quelli di sinistra, e più arcuato il torace da questo lato. Il movimento respiratorio a destra era quasi mancante, specialmente all’altezza della quarta costa fino alla base del torace che al palpamento dava maggior resistenza; il fremito pettorale era pressocchè estinto in tutto l’ambito del polmone, meno superiormente ove anzi era molto ben percepito. Il fegato sporgeva di un dito traverso sotto il bordo libero delle coste. Alla percussione si aveva a destra suono muto tanto anteriormente che posteriormente dal terzo spazio intercostale in basso, superiormente suono timpanitico. All’ ascoltazione era scomparso il murmore respiratorio, mentre, ove la percussione dava suono timpanitico, si sentiva la respirazione vescicolare esagerata con rantoli a grosse e piccole bolle; posteriormente contro la colonna vertebrale si sentiva la respirazione bronchiale. Nel polmone sinistro si avevano tutti i segni di un catarro bronchiale. Diagnosticai una pleurite destra con essudato abbondante. Avevo letto di fresco le belle esperienze del Siredey sull’uso del latte contra ogni sorta di idropisie; volli tentarne la prova e l’effetto fu superiore alle mie aspettative. Il paziente non avendo a sua disposizione il latte nè di vacca nè di asina fece uso di quello di pecora e capra mescolato. Ne bevve circa un litro e più al giorno. La guarigione fu quasi istantanea. Quindici giorni dopo dal principio della cura, essendomi io recato a visitarlo, egli che prima era impotente di mover passo fuori da casa sua, vennemi incontro a piedi rallegrandosi meco dell’efficacia della cura, ed infatti aveva acquistato in forze ed in nutrizione oltre al colorito di un leggero incarnato. All’esame del torace trovai che l’essudato si era abbassato di circa quattro centimetri, e un mese dopo quando lo rividi, non ve n’era più traccia, ed il Domenico era guarito potendo attendere a’suoi lavori campestri, portar pesi, e far lunghe camminate senza incomodi. Soltanto per la rapidità dell’assorbimento, il polmone restato compresso per tanto tempo, non potè dilatarsi subito in tutta la sua circonferenza e ricever l’aria, gran parte rimanendo impervio a questa, di modo che, manifestamente, il torace da questo lato si era infossato e la spalla destra abbassata di molto. Qualche tempo dopo ebbi occasione di rivederlo e constatai che il polmone funzionava quasi per intero, come lo certificavano i segni fisici, e per avere il torace acquistato la sua configurazione normale, e per l’innalzamento della spalla.”

Guarigione di carcinoma facciale senza estirpazione; pel medico-chirurgico condotto Stefano Melina ( Gazz. Med. ltal. Tosc. )

E’ Stefano Melina (1927-1997) omonimo e discendente del Medico condotto a Carife, sua patria, a riportare alla luce il brano che segue pubblicato sul giornale medico napoletano “il Severino”, sulla Gazzetta Medica Italiana Toscana, sul n. XVIII (anno XXX) dell’Osservatore Medico del 15/09/1852. L’eperianza singolare su un caso di carcinoma vegetante sulla gota di un giovine del posto, rende ragione di come la tradizione (…di uso comune fra la popolazione) possa curare forme simili fra loro e più gravi nella espressione patologica, con la guarigione e la restitutio ad integrum del tessuto interessato.

“In Carife del Principato Ultra, un contadino presso a dieci luslri di età, di temperamento sanguigno, de­dito a’ liquori spirilosi, da più anni avea nella gota sinistra un porro che emulava la grandezza d’un pisello. Intento egli a lavori campestri, in un giorno della stagion novella, s’avvide che s’ingrandiva nel volume e di giorno in giorno sempre più inollran­dosi, prese poi il perimelro di un uovo colombino. Indolenle non più, come per l’avanti, ma invece mo­leslo ed affliggenle gli si rese. Paventava I’infelice in tal posizione e nell’ansia di alleggiarsi delle sue sofferenze, da sè, volle applicare localmenle delle mal­vale a più riprese; ma che! lungi dal giovargli, il tumore anzidetto progrediva per lo peggio, finchè screpolandosi in mezzo ad un’ abbondante secrezione di lava icorosa, si pronunziava a modo di un piccol ramo del comune CavoJfìore. ln vista di tale scon­cerlo bramò senlire il mio consiglio e menlre gli acconsento, senza esitanza, gli feci marcare il grave interesse che ispirava il maligno tumore; dichiarava trattarsi del vero Carcinoma volgare di De Sauvages e, sotto tal concetto patogenico, gli amministrava di­versi rimedi discioglienli, presi dalla classe delle so­stanze solanacee, dalla cicuta maggiore, coll’opinare di Stork. Usava pure I’olio essenziale della piombaggine Europea, giusla il formulario del testè riferilo scrittore nella storia da lui inserita negli atti dell’Ac. R. des Sc, anno 1743; ma tutto ali’indarno. L’im­portanza del serio malore, il dovere, nè casi pro­cardici, di dipendere dal consiglio di altri professori, mi spinsero sino ad obbligare il misero paziente per­chè a ciò avesse adempito. Di fatti, gl’invocati colleghi, unanimamenle e senza indugio, convenivano per l’estirpazione, qual unico mezzo di salvezza. Ed innanzi di eseguirsi in tal giusto dettato, convinto con Stork ed allri sapienti figli di Esculapio, che talora anche nelle cose poco stimate e volgari, il poter di natura è ammirabile; esortai ad ungere sull’aperto tumore l’intero succo addominale dello Scarabeo paluslre, in uso presso il volgo, perchè provato dalla esperienza valevole a distruggere i porri in qualsivoglia sito del corpo, e che io, per curiosità volli estendere anche al soggetto caso. Da questo operato, bello si fu il vedere tutto di escara circondato l’aperto tumore; escara, la quale poi esfoliata , e più volte ripetuta lasciò osservarne menomato il volume; fintanto che di giorno in giorno, succedendo lo stesso, si appiccolì tanto, da far travedere non più che breve traccia di se stesso senza rimaner turbata l’eleganza della gota male affetta. Tutto il trattamento fu della durata di quindici giorni, impiegandosi uno per volta di quegli scarabei palustri per motivo che ospitano d’ordinario nelle paludi, ove più facilmente si osservano ne’ mesi di maggio e settembre, e dopo caduta delle pioggie.”