Voglie materne

E’ opinione comune che se la donna, durante la gravidanza, desidera qualcosa di particolarmente insistente, possa proiettare l’immagine di quel desiderio sulla pelle del feto che andrebbe a formarsi sulla stessa zona cutanea ove la madre si tocca inavvertitamente quando lo prova. Già nel XVIII secolo, le emozioni corredate da fantasticherie della donna gravida, venivano considerate da “Concretizzare” per evitare che esse, non soddisfatte, potessero influire sul nascituro e manifestarsi come nèi o “voglie”. Alla donna gravida dovevavo essere evitati sbalzi d’umore, improvvisi spaventi, visioni attraenti ecc. D’altra parte, già nella Genesi (XXX, 37-43) Giacobbe condizionava il colore dei capretti ponendo rami striati di fronte alle capre gravide: “…Giacobbe prese rami freschi di pioppo, di mandorlo e di platano, ne intagliò la corteccia a strisce bianche, mettendo a nudo il bianco dei rami. Poi egli mise i rami così scortecciati nei truogoli agli abbeveratoi dell’acqua, dove veniva a bere il bestiame, proprio in vista delle bestie, le quali si accoppiavano quando venivano a bere. Così le bestie si accoppiarono di fronte ai rami e le capre figliarono capretti striati, punteggiati e chiazzati. Quanto alle pecore, Giacobbe le separò e fece sì che le bestie avessero davanti a sé gli animali striati e tutti quelli di colore scuro del gregge….” La neo mamma, quando il bambino alla nascita presentava delle macchie cutanee, andava col pensiero a rivedere il trascorso della gravidanza per imputare ad un desiderio non soddisfatto o ad una occhiata maligna di gelosia o ad altro la causa determinante e rincorrendo l’immaginazione si rivolgeva alla esperienza di altre mamme per dirimere gli eventuali dubbi. L’attenzione che veniva rivolta alla neo mamma era talmente tanta che l’argomento riempiva le case ed i commenti, a volte, divenivano di dominio pubblico. Si discuteva dei sintomi che la gravida aveva avuto, incoraggiata nel descriverli, si scandagliava la memoria del tempo compreso tra il concepimento e il parto alla ricerca di un evento, anche insignificante al quale ricondurre la “voglia” insoddisfatta o una immagine impressionante che in nove mesi certamente non era mancata. La puerpera aveva tutto l’interesse a forzare il proprio ricordo in cerca dell’evento. Le domande che venivano rivolte più di frequente alla madre, riguardavano il desiderio di un determinato cibo, prendendo suggerimento da quanto grossolanamente potesse somigliare la forma dell’inestetismo. In tal modo si giustificava l’inestetismo del bambino che appariva come risultato di un capriccio o di una manifesta gelosia.

La metafisica dell’ embrione. Scienze della vita e filosofia da Malpighi a Spallanzani (1672- 1793). Castellani, 1965 : C. Castellani, La storia della generazione. Idee e teorie dal diciassettesimo al diciotesimo secolo, Milano.

Lettere sentimentali d’un giovine Italiano ad un amico.

Nessun maggior dolore, che ricordarsi del tempo felice nella miseria (Dante).

Mentre le nascite possono essere intese come una condensazione di cellule che inizia col concepimento, ed una condensazione di sentimenti con la venuta del nuovo essere nel nostro mondo, per cui tutti: genitori, parenti, amici, si compiacciono e ne tessono le lodi, avvicinandosi alla nuova creatura; la morte, che è l’opposto della nascita, rappresenta la dispersione delle cellule con la degenerazione del corpo e la dispersione dei sentimenti; all’ avvicinamento di tutti, per la nascita, si contrappone l’allontanamento di tutti per la morte. La lettera che segue, mette in risalto gli eventi che accadono in famiglia, dopo la morte del genitore e non vi pare che col passare dei secoli, le cose non sono poi cambiate così tanto!

Dopo la morte di mio padre, in casa, fra lo stesso mio sangue si combatte e neanche in campo aperto. Ti affrontano con coraggio? No; simili a volpi affamate aspettano la preda in agguato, o vanno a cercarla quando sanno che non può o non pensa di difendersi. I parenti? si sono allontanati. Mi fuggono come se fossi appestato, di modo che, durando così, fra poco resterò solo. Gridano contro me e mi guardano di traverso, e mi trovano mille difetti, e sia pur vero, ma non mi manca certo altezza di cuore, e tale ch’essendo in perfetta opposizione col mio stato, induce in errore sul conto mio. Chi dice, «Potresti fare», chi «Potresti regolarti», secondo quello che loro suggerisce la propria sapientissima mente, ed a proporzione o del livore, o della malignità, o del disprezzo che loro bolle nell’animo; e se una cosa non riesce, se non ne hai prevista un’altra, e se non hai potuto evitarla, sei sempre del pari colpevole. E credetemi, non mancano loro pretesti, e quando ancora mancassero, saprebber bene inventarne. Guardano con occhio torvo l’error più leggiero, e lo puniscono severamente. Sul lor volto sorprendi la severità, la compiacenza che provano nel vedersi osservati e rispettati dai meschini. Van per istrada empiendosi di vento. Di giorno in giorno vedo andar tutto di male in peggio, e che sarò, di tal passo, costretto a cominciare sul serio a riflettere al mio stato. E credo che il miglior partito sia quello di fuggire da qui. Addio .

14 novembre 1816.”

Don Leone racconta. Chiesa Madre di Santa Maria Assunta ad Andretta (AV), anno 1992.

“Il demonio diventa forte con noi quando ci abbaglia, quando riesce a metterci contro Dio e noi siamo forti con lui quando ci poniamo in verticale col Signore; E’ attraverso Dio che diventiamo inattacabili per il demonio. E’ come quell’oggetto che per funzionare necessita di essere collegato ad una sorgente energetica, quando si stacca dalla sorgente, non funziona più; così noi, dobbiamo restare sempre collegati a Dio, se ci stacchiamo da Lui, non siamo più difesi e il demonio prende il sopravvento. La forza del nostro legame con Dio, annulla completamente il male. Il demonio, attraverso l’inganno della mela, pose Eva contro Dio: “Se mangi la mela, diventi come Dio”, dunque, il convincimento di Eva, le fece assumere la colpa. Sant’Agostino afferma: “Il mio animo è sempre inquieto finchè non riposa in Dio”, il Santo viveva l’inquietudine dell’animo che si rasserenava con la vicinanza a Dio. Se cerchiamo una direzione nella natura, nelle nostre intuizioni, nelle esperienze, ci avviamo un po’ sperduti, nella penombra, con poca luce, allora brancoliamo, ci giriamo, ci voltiamo, alla fine, ci rivolgiamo sempre a Dio; facciamolo prima allora, senza perdere tempo. Il tutto è Dio. Il male indossa molte maschere, ma è sempre lui, l’anti Dio. Può impressionarci la semplice parola diavolo, demonio, spesso cerchiamo di evitarle queste parole, chiamiamolo pure come vogliamo, che so, chiamiamolo bugia, tradimento, chiamiamolo inganno, abbaglio ma è sempre lui. Dal canto mio, debbo sempre smascheralo il diavolo, quando mi trovo con un caso da esorcizzare, altrimenti non posso procedere con l’esorcismo. L’influsso diabolico è camuffato; la prova , nel caso da trattare, è l’evidenza della sua presenza, quindi lo debbo smascherare, farlo emergere. Venne da me un neurologo a dirmi: “Padre ecco, porto un caso da esorcismo”, io ebbi un po’ di remore, pensavo che sbagliasse ma il medico incalzò: “Padre, ha perduto la sua identità”, ma io ancora non credevo perchè, un malato, per patologia, può non riconoscersi, a volte. Poi, iniziai ad interrogarlo e gli chiesi: “Sei Satana? Se sei Satana, sei stato schiacciato dai piedi della Madonna” e lui: “.. no, quello è stato un incidente”. Avevo studiato che il demonio, per superbia, non parla di sconfitta, ma di incidente ed iniziaii l’esorcismo. Durante le preghiere, si scatenò e mi disse; “ .. io a quella donna le dò tante sconfitte: con la droga, divorzio, alcool, prostituzione”. Sono tutte armi che lui usa e alla fine vuole arrivare al suicidio del soggetto. Che altro fa? Distacca dai parenti, stimola flash di violenza dei figli coi genitori e dei genitori coi figli, contro il marito o contro la moglie. Crea un tale disagio che spinge alla esasperazione e nella esasperazione suggerisce in maniera eufemistica la liberazione, in maniera così abile per cui il soggetto cade in un precipizio. Nel caso si tratti di un uomo di scienza, spinge più verso l’onore: “Se vuoi l’onore tuo, fai un gesto di coraggio”; insomma, fa vedere un valore fasullo come fatto reale. Come ci si libera? Ecco… chi prega si salva, chi non prega si danna e qui c’è l’intervento della Chiesa, dei nostri Santi. Anche i Santi ebbero la tentazione a suicidarsi, Sant’Ignazio ebbe la tentazione al suicidio ed ecco che la preghiera, la santità, gli impedì questo passaggio. Prima di iniziare le preghiere esorcistiche, invito sempre a considerare che possa trattarsi di una patologia organica poi, successivamente, a prendere in esame l’aspetto psicologico. Il demonio distacca, mette contro irrazionalmente e l’invasato non se ne accorge e si chiede del perchè ha fatto certe azioni. Io ho dormito presso famiglie sconquassate, genitori contro figli e viceversa, sono stato con loro, ho dormito con chi era più violento in casa, stando in verticale. Ricordo di un preside il cui figlio lo batteva e lo cacciava via da casa, dormii con lui due notti, non mi toccò per niente; era violento con tutti ma non con me, io stavo in verticale, avevo Dio innanzi e con Dio si diventa una potenza. Il pastorello Davide, scalzo, disarmato, dinanzi al gigante Golia, in nome di Dio lanciò la pietra, in nome di Dio, altrimenti la lotta era del tutto impari, e sconfisse il gigante.”

Lettera di Anton Maria Salvini (1653-1729) ad Antonio Montauti, valente artista, suo amico.

(Raccolte di prose e lettere scritte nel secolo XVIII, Vol II, Milano MDCCCXXX)

Il Salvini fu uomo di vasta erudizione e di profonda dottrina. Nella lettera che scrive all’amico, gli parla del sentimento proprio dell’amicizia; analizza, descrive e valorizza l’affetto che lo lega. L’amicizia, afferma, è una virtù, è un bene, è una presenza, una buona compagna di vita. La lettera porta la data del luglio 1707. Sono trascorsi tre secoli e più, dalla sua stesura!

“Al M. Antonio Montauti

La materia dell’amicizia è un mare che non si può solcare in un momento. Tanto n’hanno parlato i savii antichi, che uno non sa trovar la via nè a cominciare, nè a finire. Ho indugiato un giorno a pensare e a scrivere. Levare l’amicizia dal mondo, sarebbe come togliere il sole che c’illumina, che ci nutrisce, che ci rallegra. Ella è un bene, senza di cui l’uomo non può stare, e mille beni s’hanno da quella. L’amico è un compagno della vita. Se avete fortune, che cosa è il goderle senza un amico che se ne rallegri di cuore come se fossero sue proprie, che col consiglio vi regga perchè le sappiate godere, e che sappiate reggervi dentro, e la troppa fortuna non vi precipiti? Al contrario, se avete disgrazie, egli ne piglia una parte, e così quel peso ve lo fa più leggiero; sente con pazienza i vostri rammarichi, i vostri pianti, e`v’asciuga le lagrime e vi consola, e colla sua presenza grata e col dolce parlare vi conforta e v’invita a sperar bene e coll’opera e col consiglio in ogni cosa vi guida, vi regge, v’illumina, v’ammaestra. Nel suo seno potete con sicurezza depositare tutti i vostri segreti senza timore d’esser tradito, tutte le vostre passioni, e siete sicuro d’essere o sanato, o compatito; in un vostro bisogno avete a chi ricorrere; nelle difficultà avete chi ve le spiani; nei dubbi chi ve gli sciolga; negl’ incontri tutti della vita un lume, un porto, un’ aura che v’indirizzi, v’accolga, vi riceva, vi favorisca. Egli vi proccura altri amici, aderenze e favori. L’amicizia è una virtù, una costante volontà di far bene all’amico; e quella amicizia è più ferma e più stabile, che è fondata sul buono, sul vero e sul giusto, sulla bontà e similitudine di maniere e di costumi, e che non ha per unico fine l’utile e l’interesse; perchè mancando questo, o mutandosi, manca ancor essa e vien meno. Si vede per esperienza che chi è dato all’interesse non ha amore, nè amicizia; adora solamente il suo idolo, che è l’oro, dove ha il suo cuore. L’amicizie giovenili fatte da un genio subitaneo, e che consistono nel piacere, presto saziano e svaniscono. Gli ambiziosi, gl’invidiosi, i maligni non son fatti per la buona e per la bella virtù dell’amicizia, la quale non sarebbe virtù se non partecipasse dell’onorato e del buono; e su questa base fondata ella dura, ed è una buona compagna per tutta la vita.”

Anton Maria Salvini (da Wikipedia)

Lettera del Sig. Maupertuis a D. Arnaldo Speroni, monaco-decano Cassinese e maestro de’ novizi in S. Giorgio Maggiore di Venezia. 1759

Pietro Ludovico Moreau di Maupertuis (1698-1759), bretone, fu membro della regia Accademia delle scienze di Parigi. Riflettendo sulla opportunità che un cuore generoso dedichi alla salute pubblica l’ingegno e le forze dell’animo, si apprestò a scrivere lettere su varie questioni. La lettera che segue, ha un contenuto sorprendentemente attuale. Ricordare un dolore passato non è gradevole, ricordare un bene con rincrescimento, è una pena nel cuore. Egli valorizza il presente escludendo la memoria del passato e la previsione del futuro.

“Sopra la Memoria e sopra la Previsione

Il nostro spirito, la di cui principale proprietà è di percepire se medesimo. e di percepire tutti gli oggetti che gli sono d’intorno, è anche dotato di due altre facoltà, cioè di Memoria e di Previsione. la prima è un richiamo del passato e l’altra, una anticipazione sull’avvenire. La vita dell’uomo pare più occupata intorno a questi due stati, che non del presente. L’una e l’altra di queste facoltà, sembra data all’uomo per regolare la sua condotta e per render la di lui condizione migliore. Se il passato fedelmente ci rappresentasse, pare che avendo noi la scelta di richiamarne alla memoria questa, o quella parte, non potremmo non risvegliare nell’anima nostra, che sentimenti aggradevoli; ma così non sono le bisogna. Giammai non ci si rappresenta il passato senza qualche sentimento che lo alteri, e lo sfiguri, sempre a nostro disavvantaggio. Il ricordarsi di un male, non ha nulla di aggradevole, e il risovvenirsi di un bene sempre accompagnato da un rincrescimento, non è che una pena. Dunque la memoria ci fa più perdere che guadagnare. In quanto alla previsione, ella è anche più lontana dal vero, e il dono di lei comparisce anche assai più funesto. Esagera essa il male che si teme, e rappresenta con inquietezza il bene che si desidera. Lungo tempo egli è già che fu detto, che il presente è il nostro solo bene; e questa proposizione è assai più vera, che non si pensa. se il presente si potesse purgare del veleno, onde l’infettano la reminiscenza e la previsione, sarebbe egli uno stato molto felice.”

Pierre Luois Moreau de Maupertuis (da Wikipedia)