Se i capelli ricciuti siano (come è proverbio) argomento di poco senno. Alessandro Tassoni (1612)

I capelli ricciuti sono segno di timidezza e di poco senno? Nel brano che segue, Il Tassoni affronta il probema, si incuriosisce e si affida al pensiero di Aristotele. Nel 1600 la genetica era sconosciuta, si argomentava su esperienze e pensieri filosofici cercando di dare spiegazioni più o meno appropriate su diverse tipologie di manifestazioni naturali. E’ affascinante lo sviluppo delle argomentazioni sul perchè, in alcuni, i capelli sono ricciuti e sul loro valore predittivo di una carenza di senno “l’intelletto, speculando e fantasticando, solleggia intorno a cose vane” o di un eccesso “genera un furor di pazzia come negli ubbriachi”. Con la nostra visione moderna, olistica ed universale, possiamo ben affermare che i capelli ricci hanno nulla a che fare con l’intelligenza.

“Palemone Ateniese, nel suo libro, scrisse che i capelli ricciuti fossero indizio di timidità e di pessimi costumi: “Capelli crispi hominem admodum pavidum, abhominabilem denotant”. Aristotile, nel decimo della sua fisiognomica parlò solo della timidità: “Qui capillos multum crifpos habent timidi sunt”. Il principio dell’arricciameto de’peli, secondo Aristotile, ha due ragioni, l’una nell’esalazione calda,e secca, e l’altra nel mancamento dell’umido. Dalle quali parole d’Aristotile noi caviamo, che la ricciutezza dei capelli, può da calore, e da ficcità derivarsi, da soverchio calore di cervello. Gli stessi capelli, mostrati al fuoco, o toccati con ferro caldo, si fanno ricci; Il cervello, come dice Aristotile, nel medesimo luogo, di sua natura è predominato dal freddo e dall’umido; nondimeno, moderatamente diseccandosi,o riscaldandosi acquista perfezione; imperocchè, nell’asciugarsi, glı spiriti s’assottigliano, donde nascono l’ottime contem plazioni,e l’eccellenza della filosofia. Eraclito afferma: “…e col calore gli spiriti s’infervorano dando origine al Vaticinio e alla Poesia e nell’operare l’eccellenza della fortezza, chiamata virtù Eroica”. Ma come il moderato riscaldamento del cervello è perfezione dell’intelletto, così, l’asciugarsi o riscaldarsi a dismisura guasta l’operazione di quella potenza, e la simmetria degli organi, in guisa che l’intelletto con essi opera si, ma male: quindi assume che’l cervello riscaldato soverchiamente genera un furor di pazzia come negli ubbriachi si vede: ma quando nella propria materia del cervello è concentrata ed impressa, e gli organı sono disconcertati, genera un furor pazzo e lungo come quello di tanti, che impazziscono per amore. Ma, se’l cervello è soverchiamente disseccato, sol partorire un’altra forte pazzia, più piacevole, che si chiama delirio, perciocchè l’intelletto, speculando e fantasticando, solleggia intorno a cose vane, impossibili, e contradictorie.”

Alessandro Tassoni (1565-1635)

Lettera anonima redatta nel 1719

La lettera che segue riesce a dare idea di come migliorarsi nel tempo: “Pigliare la mira alta”, evitare le mediocrità ed adoperarsi da soli ingegnandosi a dare il meglio di se. Chi cresce con l’aiuto degli altri, col tempo rientra tra i suoi ranghi. Il pensiero di Aristotele è sempre valido, la luce in presenza del buio risalta di più, il buono vicino al cattivo è più evidente come è più evidente il cattivo vicino al buono.


23 novembre 1718.

“Signor mio. La maniera buona di rifiutare una opinione altrui è quella di veder prima il fondamento
che hanno quelli che la sostengono. L’uomo non si deve contentare della mediocrità, ma andare sempre al sommo delle cose e al perfetto; pigliare insomma la mira alta. Così se ognuno facesse nelle città l’opera e l’officio suo eccellentemente, e s’ingegnasse d’esser superiore a tutti gli altri della sua propria professione e mestiero, sarebbe questa una bella gara, una discordia lodevole. A voler che si conosca con fondamento il buono, e che se ne sappia dare certa e stabile ragione, bisogna vedere anche il cattivo, perchè, come dice Aristotile che i contrari posti l’uno accanto all’altro, più spiccano. Se non ci fusse il cattivo, con che paragonarlo, non farebbe spicco il buono, nè si mostrerebbe il lume delle cose buone, se non prendesse suo risalto e ricrescimento dalle cose scure e cattive.”

“Onde vegna, che di Padri di molto senno, nascano figliuoli balordi e di Padri balordi figliuoli di molto senno”. Alessandro Tassoni 1620

Da dove viene che da padri molto intelligenti nascano figli deludenti e da padri del tutto incapaci nascano figli molto capaci. Alessandro Tassoni (scrittore e poeta, nato dal conte Bernardino di Modena, di indole orgogliosa, pubblicò nel 1620 i suoi “pensieri”), si interroga su questo dilemma. Le conoscenze scientifiche nel ‘600 erano molto limitate e lo scrittore si istruisce nel dare una qualche spiegazione al fenomeno, osservando e dando ragione al comportamento dell’uomo durante il congiungimento, che se è istintuale, animalesco, dà frutti imperfetti, se invece fa prevalere la dolcezza, l’amore, l’attenzione, il rispetto, ecco che si generano figli intelligenti. La donna è vista come accoglienza, cura della gestazione; nell’osservare, poi, che vi sono figli che somigliano più alla madre che al padre, riconosce che anche la donna partecipa alla formazione del nascituro come vuole Ippocrate. Infine, riconosce che uomini di grande ingegno somministrano al nascituro quanto hanno in serbo, al momento del concepimento.


“Onde vegna, che di Padri di molto senno, nascano figliuoli. balordi; e di Padri balordi figliuoli di molto senno.Alcuni dicon che l’esser savio, o pazzo, sia qualità dell’anima, ma essendo l’anime create da’ Iddio, e non generate dagli huomini, non habbia da parer marauiglia, se quelle de’ figliuoli non rassomigliano talora a quella del padre. Ma l’essere un’huomo savio, o pazzo secondo i migliori filofofi, non viene dall’anima, ma dalla disposizione o indisposizione del Padre che genera un altro simile a lui, con l’istessa perfezione o imperfezione generar lo dourebbe colle medesime qualità. Alcuni hanno inventato un pensier poetico, che piace a molti e che afferma che gli huomini di poco ingegno nell’atto del congiungimento, s’applicano con tutto l’animo a quell’azione; onde, per questo, sogliono generaré i figliuoli pazzi. I Padri di grande ingegno, se vanno coll’immaginazione nelle speculazioni, servando nell’atto, l’istesso tenore del congiungimento, sogliono per lo più generare i figliuoli balordi, da qui nacquero Marco figlio di Cicerone che condusse una vita dissoluta e dedita ai piaceri, Claudio figlio di Drufo, Gaio figlio di Germanico, Commodo figlio di Marco Antonino, Lamprocle figlio di Socrate che secondo Aristotile si rivelò insignificante, stupido ed ottuso. E. Stratonico Fifico (come riferisce Galeno) tenne, che’l seme predominante, o della donna, o dell’huomo fosse quello, che il parto formasse; e che l’altro servisse nel ventre per alimento al bambino. E di questa dottrina d’Ippocrate, e di Stratonico se ne da l’esempio nell’huomo, il quale essendo composto di due semi diversi, l’uno d’essi forma il pulcino, e l’altro gli serve per alimento. Alcuni altri dicono: che quando da padre di grande ingegno nasce un balordo e dappoco, ciò viene perchè il seme della madre prevale non essendo quello dell’huomo ingegnoso per generare; e l’huomo generato da seme di donna, non può esser prudente per cagione del molto freddo, e umido di quel sesso. Oltre a questo disposto, habbiamo al contrario Aristotile, e tutta la scuola Peripatetica, che niega, che mai la donna, con seme alcuno, alla generazione concorra, volendo, che quello che in lei ne par seme, non sia altro, che sudore della matrice. Benchè questa opinione d’Aristotile, per l’autorità di tant’huomo, sia accettata comunemente, a me sempre è piaciuto più quella d’Ippocrate che sostene che la donna babbia feme, il quale alle volte anch’egli alla generazione possa concorrere, vedendo noi, che i figli, molto spesso, s’assomigliano di faccia, e di costumi, più alla madre, che al padre. Don Gregorio Pomodoro, illustre ingegno dell’età nostra dice che negli huomini sapienti per esser contemplativi, tutta la perfezione del sangue loro, che è tenue e sottile, ascende al capo a confortare il cervello e che dell’altro, che rimane feccioso e mancante di calore e di spiriti, si genera il seme il quale poscia, o per la sua imperfezione è infecondo o produce parti insensati. Io non negherò che negli huomini spiritosi e grandi, non sia vero, che tutti gli spirti più vivaci si riducano al cervello per quivi somministrare virtù e vigore alle potenze dell’intelletto.”

Alessandro Tassoni (1565-1635)

LETTERE D’UN GIOVINE ITALIANO. Raccolte e pubblicate nel 1834.

La lettera che segue, rivolta da un giovane all’amico, sottoliniea il disprezzo che egli prova verso il gioco, verso gli intrighi, verso l’adulazione interessata osservati nella città in cui vive. Allontanandosi da essa e da questi invasi, si reca nelle campagne dove, da solitario, apprezza la vita semplice dei contadini, la purezza dei sentimenti ed il lavoro onesto, l’amore nei contatti umani e il rispetto dei luoghi sacri. Sembra dire che nelle campagne si vive la vita costruttiva, nelle città si vive la perdizione. Col passare del tempo le generazioni si sono rivolte ai piaceri effimeri… alle passaggiate senza senso, alle corsette lungo i cigli delle strade… mentre le terre incolte stanno ad osservarle.

Caro amico, buon per me che sono persuaso che la cabala, l’intrigo e il bassamente adulare mai trionfino sui giusti diritti e sulla virtù. Ho veduto certuni strappar dalle mani gl’impieghi a cert’altri, cui erano per giustizia dovuti. Se un ladrone ti spoglia, puoi almeno chiamarlo animoso perchè s’espoǹe a un cimento; ma come nomerai certi stupidi onde ogn’ingeguo consiste nell’ostinata cecità della sorte, che li solleva come la feccia che galleggia sull’acqua? Questi stupidi che trionfano d’averti superato coll’avvilirsi di continuo a contentare il capriccio di chi comanda; col rampicarsi per le scale del grande, e prostrandosi incensarlo poco meno del disgraziato che implora la vita. Mi si affacciano alla mente quegli anni in cui i contadini ritornando dai campi erano attorniati dai figliuoletti e nipotini che tutti ilari loro saltavano intorno, chi stringendo lor le ginocchia, chi prendendo loro la mano; e parevami vedere alcuno di essi già vecchio pigliar di peso un bambino, porselo in collo, ed inondarlo di baci. Volgendo quindi il pensiero sopra le madri, io le osservava preparare la cena, e vedeva sedersi a tavola ognuno, e ognuno guardarsi con iscambievole amore. Li seguiva poi quando essi uscivano la mattina coi bovi aggiogati, e quando il giorno lavoravano le terre sempre in pace, e forse più contenti di molti altri mortali. E nei giorni festivi venivano colle loro famiglie, e si sedevano sopra questi murelli, e attendevano il suono della campana che li chiamasse agli uffizj divini; e mentre il parroco si preparava per la sacra funzione, se ne stavano fra loro parlando, tenendo i teneri fanciullini per mano, od in braccio, finchè al primo tocco, cavandosi tutti il cappello, entravano in chiesa a pregare per la felicità de’ lor cari, ed implorare il frutto de’ loro sudori. Così io mi pasceva di malinconiche fantasie, tutto commosso di tenerezza e rammarico. Pure essi hanno avuto la consolazione di riposare nella terra dei loro padri. Oh amico! questi solitarj passeggi che ripeto sovente nelle campagne più lontane dalla città, d’onde poi nascono tali malinconiche fantasie, mi sono necessarj davvero; essi divertono la mia ira, e la calmano, nell’atto che la vista dei piaceri la rende più intensa, perchè il sentimento de’ mali mi vieta, per quanto io faccia forza a me stesso, di parteciparne cogli altri. 21 Novembre 1816.

M.Winckelmann – Recueil de lettres sur les Decouvertes faites a’ Herculanum, a’ Pompeii, a’ Stabia, a’ Caserte e a’ Rome. 1784.

Nel XVIII sec. affascinano i resti della città di Hercolaneum, antica città romana sepolta da cenere vulcanica e pomice nel 79 d.C, la prima ad essere scoperta nel 1709, mentre la vicina Pompei fu scoperta nel 1763. Molto ricca Hercolaneum essendo rifugio balneare per l’èlite romana. Winckelmann noto archeologo tedesco, si recò nel 1759 a Napoli e visitò le rovine di Hercolaneum e Paestum. Nelle sue ricerche si accompagnò all’amico marchese Galiani di Napoli che aveva tradotto Vitruvio, architetto e scrittore romano. Nelle sue lettere Winckelmann descrive i luoghi dissepolti; Leggendole entriamo anche noi con Loro nelle viscere degli scavi e seguendoli nella esplorazione del teatro di Ercolano e nelle rovine di Paestum viviamo le loro stesse emozioni.

“Herculanum e Poestum

Cinquantaquattro alti gradini conducono al teatro, sepolto a notevole profondità sotto terra. si è cercato di dare un’idea precisa della descrizione che troviamo in Vitruvio di questa parte dei teatri romani: ma non è stato possibile comprendere questo architetto e gli altri scrittori che parlavano dei teatri, in particolare Polluce. Nel 1718, il cardinale Albani fece scavare le rovine di questo teatro; ivi trovammo quattro statue di marmo nero, un Giove e un Esculapio, che oggi sono nel Campidoglio; un fauno e un atleta mutilato. Devo il riconoscimento pubblico qui al mio amico signor marchese Galiani, autore dell’ammirevole traduzione italiana di Vitruvio, che accompagnò il signor Volkman, il signor Fuessli e me, nei condotti sotterranei di questo teatro, e che ci mostrò la pianta di questo edificio, progettato dal defunto signor Weber, che ci ha spiegato, soprattutto per quanto riguarda la scena, con tutta la precisione e la chiarezza che le sono caratteristiche. Senza l’aiuto di una guida del genere è impossibile farsi un’idea del luogo in cui ci troviamo, tanto meno della pianta di un edificio sconosciuto, poiché siamo semplicemente obbligati a indovinarlo in una stretta galleria all’interno di un altro. Venendo a Paestum, Il signor marchese Galiani, di Napoli, pubblicò ciò che il signor Antonini aveva intenzione di dire. Tuttavia ha commesso un grande errore; egli sostiene che Pestum avesse una forma circolare, ed era esattamente il contrario, perché le mura di cinta di questa città formavano un quadrato. Se ci prendiamo la briga di confrontare ciò che è mio dire sugli edifici di Peftum, con ciò che ne disse il signor marchese Galiani, vedremo facilmente quanto le descrizioni di chi scrive siano difettose e insoddisfacenti. Tutta la cinta muraria della piazza della città di Paeftum, posta a un miglio e mezzo dall’Italia dal lembo del golfo di Salerno, con le quattro torri angolari, è conferita nella sua interezza, e queste mura sono costruite a pianta quadrangolare molto grande o pietre oblunghe, unite tra loro in cemento. Queste mura sono coronate da una distanza all’altra da torrette rotonde. All’interno delle mura, e nel centro della città antica, si trovano due templi e un altro edificio pubblico, che era o una basilica, o una palestra o ginnasio. Questi due templi, come il terzo edificio, sono peripteri, cioè hanno tutt’intorno un colonnato fogliato, ed hanno un portico davanti ed uno dietro. Il tempio più grande, che fu quello che soffrì meno, ha colonne fisse davanti e altrettante dietro, con quattordici colonne ai lati, contando il doppio di quelle agli angoli. Il tempietto è decorato, come quello grande, con colonne fisse davanti e dietro, e tredici lungo i lati.”

Winckelmann ed il marchese Berardo Galiani a dx.