Un prezioso evento d’arte a Montoro (Av)

Prosegue lo spirito dell’amministrazione comunale di Montoro (Av) insistente nella diffusione di manifestazioni culturali fondate sulle tradizioni, sulle origini, sull’arte. In continuità con il “E…state a Montoro” della scorsa stagione, il progetto “Trascorri le feste di Natale con noi a Montoro” prevede una serie di eventi che si terranno nelle chiese delle varie frazioni montoresi. Meritevole di segnalazione, come incipit prezioso del nuovo anno, lo spettacolo tenuto ieri, 02.01.2024, in piazza Michele Pironti, nella frazione Piano, innanzi all’altare della chiesa di San Giovanni Battista e San Nicola da Tolentino, inscenato da un piccolo e talentuoso gruppo teatrale (diretto dalla regista Ludovica Rambelli) con una particolare capacità: quella di realizzare in 40 minuti ben 23 scene in veloce successione che ricalcano le immagini rappresentate da Michelangelo Merisi da Caravaggio nei suoi quadri, tant’è che il registro teatrale è quello dei tableaux vivants, quadri viventi. Notevole, come ha commentato il primo spettatore ovvero il primo cittadino Girolamo Giaquinto, la velocità con la quale gli attori cambiano d’abito, in presenza del pubblico, servendosi di drappi vari, e muovendosi quasi in simbiosi riescano, usando pochi oggetti semplicissimi, a coordinarsi silenziosamente e a realizzare, con dinamismo interrotto da una sorta di improvvisa suspense, scorci di dettagliate scenografie e ad interpretare ruoli ogni volta diversi. E la drammaticità delle scene del genio Caravaggio c’è tutta, e il suo realismo universale è testimoniato proprio dalla possibilità di realizzare, oggigiorno, il mimo delle sue scene con grande facilità. E dimostra quanto il corpo, anche senza voce, possa parlare, quanto sia forte il suo linguaggio silenzioso. Ma ciò che colpisce? La serietà degli attori, perché la serietà (non la seriosità) è di chi vale, è degli artisti.

Consigli di lettura in vista del Natale 2023

Scrutando tra gli scaffali della libreria Feltrinelli di Salerno, anche attratti dai colori dell’immagine in copertina, in prossimità del Natale che in genere è festa di ricordi, di cose retrò, di bisogno di affetto, di abbracci caldi, e di frasi sincere, non si può non far caso ad un libricino edito da Garzanti, sul quale capeggia il cognome dell’unica donna italiana (sarda) ad aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura, Grazia Maria Cosima Damiana Deledda (1871-1936). “Il dono di Natale” è una raccolta di racconti brevi, ambientati ovviamente in Sardegna. Nella nevosità invernale della terra dei 4 mori, nella selvaggia fascinosa isola dedita alla pastorizia e agli ideali essenziali e al credo in Dio, si ambientano vicende scritte con lo stile semplice, chiaro, ma
profondo, della autrice. La lettura si fa veloce, quasi precipitosa, scivolando quasi dalle righe ma arricchendosi- in maniera inversamente proporzionale alla semplicità della scrittura- di sensazioni, sofferenze, tenerezze, rugosità, durezze, abissi, delicatezze. Traspare quell’indole che la stessa autrice descrisse dei suoi libri: “tanto drammatica quanto sentimentale”. E i contenuti sono vicende di vita comune, di una Sardegna antica con usi e costumi ancestrali, ma scenario di relazioni e scambi tra personaggi che appaiono moderni, ancora vivi, perché gli uomini sono ancora gli stessi, dopo tanti anni. Deledda rappresenta le sue figure descrivendole in modo tale che più che corporee si ha l’idea della personalità (nello stile dei grandi scrittori russi), e si avvicendano tutte le personalità, variegate e multiformi, opere di una scrittrice che è regista di fatti umani reali attuali. Scrittrice dell’umanità, caposaldo della letteratura italiana. Il riferimento, ogni tanto, a parole in lingua sarda appare un piacevole intermezzo che rimanda con la mente alla voglia di viaggiare e di andarci o tornarci nell’isola. Il racconto più bello? Quello da cui trae il titolo questo piccolo grande libro: perché il dono di Natale non può che essere la Vita.

VIOLENZA DI GENERE E LE INIZIATIVE DELL’ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.) 

Domani, 25 novembre, ricorre la “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”, e l’I.N.P.S. ribadisce e rinnova il suo impegno con iniziative di sensibilizzazione e di tutela concreta rivolta alle vittime di violenza di genere. Quest’anno, a pochi giorni dall’assassinio della poco più che ventenne Giulia Cecchetin per mano dell’ex fidanzato, gli animi sono maggiormente provati e la celebrazione appare più sentita, se consideriamo che, al termine di questo 2023, le statistiche hanno registrato ben 107 vittime di femminicidio dall’inizio dell’anno (una ogni tre giorni). 

L’I.N.P.S. ha già da tempo materializzato l’intervento a sostegno delle vittime tramite la Guida in 7 passi, documento contenuto un’apposita sezione del suo portale telematico, dalla quale emergono indicazioni sulle iniziative, sulle tutele e sui servizi, di natura socio-economico-amministrativa (Congedo e Indennità, Reddito di libertà, etc.), che l’Istituto può offrire alle vittime di violenza intesa nell’accezione più ampia, sia fisica che psicologica che economica, nonché l’incoraggiamento alla denuncia e la tutela degli orfani nel caso di femminicidio. 

Nella lotta al fenomeno in vertiginosa ascesa, il primo passo, come capeggia nelle news sull’argomento del sito istituzionale, “parte sempre dal cambiamento, dalla consapevolezza e dalla diffusione della cultura del rispetto” nei confronti della donna e del prossimo in genere. 

Nell’attesa di eventuali nuovi indirizzi normativi finalizzati alla maggiore circoscrizione e gestione delle misure preventive, correttive e lenitive del fenomeno, in linea con il bisogno sociale di espressioni manifeste contrarie al dramma della violenza, rappresentativo appare il gesto di illuminare ogni sede dell’I.N.P.S. (in foto la sede del Centro medico legale dell’I.N.P.S. di Avellino) con la luce rossa, il colore simbolo, e, nelle sale degli Uffici Relazioni con il Pubblico, la postazione di una panchina rossa ovvero di una locandina con la scritta “Posto occupato”, per dare risalto al vuoto lasciato da chi non c’è più.

In ricordo di un uomo buono: il maresciallo Antonio Russo.

Lo scorso settembre, la frazione Misciano di Montoro (Av) ha perso un uomo buono. Non si tratta di parole retoriche ma chi ha conosciuto la persona, di cui stiamo scrivendo, sa che è stato davvero così. Ed oggi essere buoni è un privilegio di cui poter vantarsi con molta cautela.

Di indole mite, pacifica, tollerante, esortante, il maresciallo Antonio Russo, classe 1948, ha avuto un grande posto nel mondo e non soltanto per la sua devozione all’Arma. Oltre al sacrificio per il servizio -si ricordano la sua capacità di muoversi nell’ambito della fotografia forense e il suo intervento in occasione del terremoto che nel 1980 mise in ginocchio l’Irpinia, allorquando Russo era in servizio presso la stazione di S. Angelo dei Lombardi (Av) e fece ritorno alla propria casa soltanto dopo aver coadiuvato al recupero e al trasporto di tutti i corpi delle vittime innumerevoli estratte in quei giorni di continue e pericolose scosse di assestamento- larghe sono state le virtù spese nel proprio spazio quotidiano con le persone incontrate sul suo cammino.

Centralità nella sua vita ha avuto la famiglia: marito legatissimo alla “mia signora” per più di 40 anni, padre di Margherita e Annamaria, “le ragazze” per le quali si è prodigato, zio affettuoso come un padre, nonno di Grazia, la “nipotina” ormai laureata, di Antonio, il ragazzo che ha seguito le orme arruolandosi nelle Forze dell’Ordine, e di Ludovica, silenziosa adolescente affezionata.

Il maresciallo Russo era devoto alla vita, un ottimista anche a fronte di una malattia terribile che l’ha sconfortato soltanto per qualche attimo. Rimasto coraggioso, tale da commuovere i medici. Gentile e garbato, e mai disperato, come, probabilmente inconsapevolmente, fa un vero cristiano.

Il suo funerale (nella foto un momento della funzione religiosa) è stato celebrato nell’antica chiesa del paese da don Vincenzo Romano, congiunto del maresciallo, anziano prelato dalla voce ferma e decisa, e da don Giovanni Mascia, attuale parroco di Misciano.

Sarà il suo un ricordo perenne, così come lui, sempre, in qualsiasi stagione dell’anno, accorreva, con la sua caratteristica camminata “veloce veloce”, per adempiere, per aiutare, per collaborare, per portare un messaggio di vita.

Ora è “libero”, come da sue ultime parole, di accorrere ancora, e in un’altra forma, soprattutto da chi ha tanto amato.