Il 1800, secolo del Risorgimento, anche in medicina i cambiamenti.




Nel 1848 si dibatteva nelle sedi delle Accademie mediche sul riformare le Università degli Studi verso la completezza formativa dei giovani medici. Alcuni docenti iniziarono a sostenere che materie come la mineralogia, la zoologia, la chimica farmaceutica erano argomenti necessari per preparare adeguatamente le nuove generazioni di studenti ed adducevano a sostegno delle loro tesi che il corpo umano si compone di minerali e di principi organici ed affermavano che “…essi principi costituiscono gli alimenti coi quali mantiensi la vita e ci forniscono i varii rimedi dei quali ci serviamo in medicina. L’uso di alcune parti del corpo umano ci sarebbe tuttora ignoto se non ci fossero gli studi degli animali sui quali possiamo osservare e sperimentare le singole funzioni che in noi eseguiscononsi; sono assai meglio intese e spiegate dopo che esse studiaronsi diligentemente nell’intiera serie dei corpi viventi. La mineralogia pertanto, la zoologia e la chimica organica non sono meno essenziali al medico di quello che lo siano per esso la fisica, la chimica organica e la botanica…. eppoi si faccia in modo che ognuno degli allievi trovi nel laboratorio di anatomia la massima facilità e tutti i mezzi opportuni per esercitarsi sul cadavere durante tutto quel tempo che loro è necessario in quelle ore che sono lasciate libere dalle lezioni dei singoli professori. L’attuale regolamento stabilisce che un solo professore debba, in non più che otto mesi di corso, dare l’igiene, la polizia medica, la medicina legale, la tossicologia. Egli è impossibile che in così breve spazio di tempo un solo professore dia un insegnamento compiuto di tutte queste materie. Sarebbero necessari tre professori: uno per l’igiene e la polizia medica, uno per la medicina e chirurgia legale, ed un terzo per la tossicologia. Due altre cliniche sarebbero necessarie, quella delle malattie infantili e quella delle malattie cutanee (Reale Accademia Medico-Chirurgica di Torino, 7 marzo 1848)” Gli studi di medicina iniziavano a prendere forma più compiuta, accresceva l’interesse verso quelle nozioni che, nel tempo, si mostravano efficaci nell’affrontare le malattie con una visione più ampia e si dava all’Italia, che a breve sarebbe divenuta unita sotto il regno dei Savoia, ed agli Italiani, un sostegno formidabile alla salute pubblica.

Cronaca d’altri tempi

Una meticolosa descrizione dei danni causati da un fulmine, che colpisce in pieno il campanile della Chiesa di San Giovanni Battista di Carife (AV), non quello attuale ma il vecchio, ubicato ove attualmente è la canonica, ci fa rivivere il momento di paura e di preghiera vissuto dai presenti. Un grande osservatore si palesa l’anonimo autore ed inatteso il ritrovamento del documento dattiloscritto, piegato con cura e posto fra le pagine di un testo dell’archivio familiare di Stefano Melina. Lo scritto si commenta da solo; l’autore ci prende per mano, ci introduce nella Chiesa e ci fa assistere atterriti all’evento, quindi ci conforta assicurandoci l’intervento della Vergine.

Il giorno 23 marzo del 1888 alle ore 15 scoppiò una folgore sulla vetta del campanile ove si rattrovava una statua di legno di San Rocco, colle ablazioni del quale erano stati eseguiti i restauri fin dal 1854. Quello scoppio ridusse in vari pezzi quel simulacro, essendosi rinvenuto una parte della testa nella frana, altra parte fu rritrovata innanzi alla chiesa dei soppressi Conventuali di San Francesco ove esiste la confraternita di Maria Santissima delle Grazie e di San Michele Arcangelo, altro pezzo lungo la piazza e uccise due animali setolosi; s’introdusse all’interno del campanile, lesionò la parete interna verso la chiesa, scantonando molti frantumi di pietre, di mattoni e di calcine vicino le due cantonate; spezzò due grosse mezzine di legno querce che erano nel mezzo del pavimento ove si fa la forza per sonare le campane; in un modo misterioso è uscito di là, si è attaccato al corniciato della Chiesa, lo ha scantonato in un punto; indi scantonando la parte fuori di una buca di andito che comunicava nell’interno della chiesa, per questo si è introdotto in essa, precisamente alla parte dell’altare del Santissimo Rosario, ha scantonato in un punto il corniciato a stucco, che circonda il bel quadro della gran Madre di Dio, ha sbalzato quel punto, ove è dipinto un Angelo a terra, si è stracciata la tela nel mezzo, ha sbalzato fino all’altare del Santissimo Sacramento parte del corniciato di legno indorato; poi ha percorso tutto il corniciato di legno indorato della Vergine, distruggendo l’indoratura, ha scantonato ai due fianchi, ove erano i quadri della Madonna del Buon Consiglio, e dell’apparizione miracolosa della saletta, spogliando pure le cornici dall’indoratura; l’intero quadro era coperto da un velo, questo è stato acceso dal fuoco elettrico e si è sviluppata la fiamma, per estinguersi, si obbligò il sagrestano a salire sull’altare, benché stordito e soverchiato dalla paura, pure strappò il velo, estinse la fiamma, ma il timore non fini. Era un finimondo!!! Non si può tacere che lo scoppio del tuono fa sentire il suo colpo più di quello di un cannone!!! Era giorno del mercordi delle quattro tempora della Pentecoste, si doveva sonare la campana per la messa conventuale; il sagristano accompagnato a due garzonetti per animare il suono della campana, prese licenza dall’Abate a tanto eseguire; questi dispose di attendersi. In chiesa erano presenti l’Abate Don Elziario de Angelis, il Canonico Lungarella, il Can. Santoro ed un tale Giovanni D’Ettorre, vecchiarello zoppo che stava seduto allo scanno al fianco destro dell’Altare del Santissimo Rosario. Era pure in Chiesa il Sacerdote Vitantonio Carsillo de Minori Riformati ritornato da Cattaro della Dalmazia, come Missionario Apostolico per rivedere i suoi dopo 25 anni di assenza. Tutti noi fummo presi dallo più terribile spavento, vi accorse una folla di popolo, invocavamo l’aiuto di Maria Santissima e tutti fummo salvi pel suo potentissimo patrocinio. Miracolo specchiato che Maria Santissima ci liberò dalla morte”.

Lettera di Pietro Giordani a Caterina Franceschi Ferrucci

L’ardimento col quale, certo di se, Pietro Giordani (1774 – 1848) invitava alla cura dei piccoli, sottolinea le sue idee conservatrici. Egli sosteneva che la cultura classica è fondamentale per una buona preparazione delle nuove generazioni. Nella lettera che segue indica la strada da percorrere, l’educazione opportuna, affinchè un fanciullo divenga uomo e non bruto.

A Caterina Franceschi Ferrucci.

“Cara signora, ha tanto buon cuore che seguiterò a comunicarle i miei pensieri, che pur trovan pochi ascoltatori e nessun esecutore. Amo i bambini e mi affliggo e mi sdegno a vederli indegnamente trattati. Le sono obbligatissimo della promessa che mi fa, di comandar poco e proibir poco al suo figliolo, dì lasciarlo sviluppare liberamente le facoltà fisiche e morali, di non gli dir mai bugie di nessuna sorta, di non gli dir mai còse che non possa intendere e di rispondere alle sue interrogazioni, di non fargli mai fare nessun passo forzato né dì movimenti corporali né di morali, di preservarlo diligentemente da ogni errore. L’errore è peggio dell’ignoranza anzi l’ignoranza è gran male per questo, che è terreno dove si pianta l’errore. Lasci ancora per alcuni anni scarabocchiare liberissimamente il suo figliolo e mi creda che questo esercizio puerile gli tornerà a gran profitto. Sappia che come il corpo ha due mani, colle quali s’appropria 1’uso delle cose esteriori, il cervello ne ha tre e sono: Disegno, Calcolo, Lingua. Coi disegno egli introduce nell’ intelletto tutte le forme visibili, e divien potente non solo a rappresentarle, ma a modificarle. Col calcolo egli apprende e maneggia tutte le quantità, ond’ella vede ch’egli procede al di là del visibile, e si estende a tutto quello che può essere, anche immaterialmente, commensurabile. Colla lingua egli distende ancora più la sua potenza, perchè niuna cosa è che la parola non possa rappresentare, e sotto questa forma maneggiare, come fosse cosa visibile e misurabile come la sensazione, l’idea astratta, l’universale, l’affetto. Chi arrivasse all’eccellenza dei disegno sarebbe artista, chi possedesse tutta la potenza del calcolo sarebbe scienziato, chi portasse alla somma perfezione l’immenso uso della lingua, diviene scrittore. Dunque nella cima di questi tre istrumenti dell’intelletto sta il sommo della massima grandezza umana; ma nei gradi più bassi bisogna pur che si trovi chiunque vuol esser uomo e non bruto e tanto più è uomo quanto più possiede dì questa ricchezza: tanto meno è nomo quanto più se ne trova povero…”

Parma, 9 febbraio 1832.