LETTERE D’UN GIOVINE ITALIANO. Raccolte e pubblicate nel 1834.

La lettera che segue, rivolta da un giovane all’amico, sottoliniea il disprezzo che egli prova verso il gioco, verso gli intrighi, verso l’adulazione interessata osservati nella città in cui vive. Allontanandosi da essa e da questi invasi, si reca nelle campagne dove, da solitario, apprezza la vita semplice dei contadini, la purezza dei sentimenti ed il lavoro onesto, l’amore nei contatti umani e il rispetto dei luoghi sacri. Sembra dire che nelle campagne si vive la vita costruttiva, nelle città si vive la perdizione. Col passare del tempo le generazioni si sono rivolte ai piaceri effimeri… alle passaggiate senza senso, alle corsette lungo i cigli delle strade… mentre le terre incolte stanno ad osservarle.

Caro amico, buon per me che sono persuaso che la cabala, l’intrigo e il bassamente adulare mai trionfino sui giusti diritti e sulla virtù. Ho veduto certuni strappar dalle mani gl’impieghi a cert’altri, cui erano per giustizia dovuti. Se un ladrone ti spoglia, puoi almeno chiamarlo animoso perchè s’espoǹe a un cimento; ma come nomerai certi stupidi onde ogn’ingeguo consiste nell’ostinata cecità della sorte, che li solleva come la feccia che galleggia sull’acqua? Questi stupidi che trionfano d’averti superato coll’avvilirsi di continuo a contentare il capriccio di chi comanda; col rampicarsi per le scale del grande, e prostrandosi incensarlo poco meno del disgraziato che implora la vita. Mi si affacciano alla mente quegli anni in cui i contadini ritornando dai campi erano attorniati dai figliuoletti e nipotini che tutti ilari loro saltavano intorno, chi stringendo lor le ginocchia, chi prendendo loro la mano; e parevami vedere alcuno di essi già vecchio pigliar di peso un bambino, porselo in collo, ed inondarlo di baci. Volgendo quindi il pensiero sopra le madri, io le osservava preparare la cena, e vedeva sedersi a tavola ognuno, e ognuno guardarsi con iscambievole amore. Li seguiva poi quando essi uscivano la mattina coi bovi aggiogati, e quando il giorno lavoravano le terre sempre in pace, e forse più contenti di molti altri mortali. E nei giorni festivi venivano colle loro famiglie, e si sedevano sopra questi murelli, e attendevano il suono della campana che li chiamasse agli uffizj divini; e mentre il parroco si preparava per la sacra funzione, se ne stavano fra loro parlando, tenendo i teneri fanciullini per mano, od in braccio, finchè al primo tocco, cavandosi tutti il cappello, entravano in chiesa a pregare per la felicità de’ lor cari, ed implorare il frutto de’ loro sudori. Così io mi pasceva di malinconiche fantasie, tutto commosso di tenerezza e rammarico. Pure essi hanno avuto la consolazione di riposare nella terra dei loro padri. Oh amico! questi solitarj passeggi che ripeto sovente nelle campagne più lontane dalla città, d’onde poi nascono tali malinconiche fantasie, mi sono necessarj davvero; essi divertono la mia ira, e la calmano, nell’atto che la vista dei piaceri la rende più intensa, perchè il sentimento de’ mali mi vieta, per quanto io faccia forza a me stesso, di parteciparne cogli altri. 21 Novembre 1816.